Monitoraggio dei principali parametri ematochimici
in un gruppo di pentatleti durante un anno di attività

stampa 

INTRODUZIONE 

Il ferro, costituente dell’emoglobina, della mioglobina e degli enzimi coinvolti nei sistemi di produzione di energia, riveste un ruolo centrale nella fisiologia dell’esercizio.Il ferro inoltre è anche coinvolto nei meccanismi di difesa dalle infezioni, nei processi di apprendimento e nella trasmissione di impulsi nervosi, e nell’attività di importanti sistemi enzimatici, quali ad esempio quelli necessari alla sintesi e degradazione delle amine biogene (tra cui la dopamina e la serotonina) e quelli preposti alla degradazione metabolica di xenobiotici.

Da molto tempo ormai sono descritti in letteratura, soprattutto in soggetti che praticano sport di resistenza, alterazioni del metabolismo del ferro di diversa entità, dalla semplice riduzione del ferro di deposito, fino ad una vera e propria anemia sideropenica. Per questo motivo la medicina dello sport ha sempre rivolto un’attenzione particolare al metabolismo del ferro e ai quadri di carenza dello stesso che possono influire negativamente sulla prestazione dell’atleta.

A partire dagli anni ’70 e nel decennio successivo la “anemia da sport”, intendendo con questa denominazione sia la carenza di ferro che una anemia sideropenica conclamata con riduzione dell’emoglobina circolante, sono stati al centro dell’attenzione del mondo scientifico sportivo. A nostro avviso, il ruolo delle alterazioni del metabolismo del ferro sulla prestazione è stato in passato fin troppo enfatizzato, tanto che nel decennio successivo la letteratura internazionale ha ridimensionato, almeno in parte, l’entità del fenomeno.

In tal senso condividiamo perfettamente le conclusioni e il punto di vista espresso da Weight in un recente articolo sulla rivista Sports Medicine dal titolo inequivocabile “Sports Anemia.Does it exist?…it is proposed that sports anaemia as a inique entità does not exist and that the suboptimal red cell indices and negative iron status observed in athletes occur indipendently of each other (newhouse e clement ,1988). Although some athletes experience a frank anemia, it develops for the same reasons as the clinical entità in nonathletic population and is therefore, not related to physical activity per se (Balaban et al.1989;Weight et al.1992b)…….moreover, in view of pathological implications of the term “sports anemia” and the contrasting evidence of appropriate haematological and rheological adaptation to endurance exercise, we consider the term to be misleading and would recommend that its use be discouraged”.

È comunque importante ricordare due quadri ematologici fisiopatologici che possono manifestarsi nella popolazione sportiva e che possono rappresentare un fattore di “confondimento” nell’interpretazione degli stati sideropenici in questo tipo di popolazione: ci riferiamo specificatamente all’anemia acuta da sport e alla pseudoanemia da emodiluizione.

·        L’anemia acuta da sport è un quadro che può insorgere più frequentemente in soggetti non allenati che intraprendono un esercizio fisico intenso, ma anche in soggetti allenati impegnati in esercizi di lunga durata, oppure per ripetute prestazioni di elevata intensità. La patogenesi dell’anemia acuta è multifattoriale e legata a fattori meccanici (impatto dei vasi superficiali della pianta del piede , soprattutto, contro superfici dure) e fisico-chimici (alterazioni della resistenza osmotica degli eritrociti dovuta all’emoconcentrazione, all’aumento di radicali liberi e di acido lattico, all’aumento della temperatura corporea) (Pelliccia-Venerando 1986, Resina 1992,Strauzenberg 1985).

·        Altro quadro ematologico specifico degli atleti e in particolare dei praticanti attività di resistenza, è quello della pseudoanemia da emodiluizione. L’iniziale emoconcentrazione, dovuta alla sudorazione e  a fenomeni meccanici e osmotici che determinano un trasferimento di liquidi dal plasma ai tessuti, stimolano il rilascio di renina, aldosterone e vasopressina(ADH)  e provocano l’aumento della pressione osmotica del plasma. Si determina così, specie nelle prime fasi (settimane) dell’allenamento,una emodiluizione con conseguente riduzione della concentrazione di emoglobina e dell’ematocrito. La diluizione del plasma circolante potrebbe determinare anche una apparente riduzione della ferritina plasmatica.    

L’ANEMIA SIDEROPENICA

 

La vera CARENZA DI FERRO può manifestarsi in tre diversi stadi:

1. Deplezione dei depositi di ferro: con la riduzione della ferritina sierica al di sotto di 15-20 mcg/dl, o secondo altri autori al di sotto di 12 mcg/dl, e aumento della transferrina(TIBC).Oltre 360 mg/dl. Questo stato è anche definito anemia prelatente.

    2. Eritropoiesi carente: la carenza di ferro di deposito riduce la quantità di minerale disponibile per la sintesi dell’emoglobina, di conseguenza la protoporfirina necessaria per la formazione dell’eme è rilasciata nel sangue (protoporfirina eritrocitaria libera, FEP> 30 mcg/dl).Questo stadio di carenza di ferro è caratterizzato da un basso valore di saturazione della transferrina (sideremia/TIBC*100) che scende sotto il  < 15-16% quando la concentrazione della FEP supera i 100 mcg/dl. I valori di emoglobina (Hb) e del Volume Corpuscolare Medio (VCM) sono ai limiti inferiori della norma, rispettivamente intorno a 12-13 g/dl e a 80-83 fl, e la sideremia si abbassa al di sotto di 50-60 mcg/dl  (Storti 1992). Questo stadio è anche definito anemia latente.

3. Anemia sideropenica: la persistente carenza di ferro determina un ulteriore peggioramento del quadro ematochimico con riduzione dell’emoglobina (<12 g/100ml nelle femmine, <13 g/100ml nei maschi) e dell’ematocrito ( <36%). Si parla in questo stadio di anemia manifesta.

 Prevalenza (Epidemiologia)

La carenza di ferro rappresenta senza dubbio la carenza nutrizionale più diffusa, e probabilmente anche più studiata, in tutta la popolazione mondiale, di conseguenza è anche normale che la letteratura scientifica medico-sportiva sia ricca di dati epidemiologici sulla prevalenza dei quadri sideropenici nella popolazione sportiva e sugli effetti indotti da questa condizione fisiopatologica sulla prestazione sportiva, nonché sugli effetti della supplementazione marziale.

Studi effettuati sul ferro immagazzinato nel midollo osseo hanno evidenziato bassi livelli di ferro nel 25% di un gruppo di giovani studentesse americane e in otto fondisti maschi. In una review del 1995 la Clarkson (seguendo la classificazione precedentemente esposta) riferisce una prevalenza di anemia prelatente e latente nella popolazione generale nordamericana in donne adulte e in adolescenti, rispettivamente del 21 e del 24,5%, mentre era inferiore del 2% nei maschi. Nella popolazione sportiva femminile le percentuali variano dal 20-21% in sciatrici di fondo fino al 47% in adolescenti nuotatrici di fondo. Per quanto riguarda l’anemia sideropenica la prevalenza nella popolazione generale è del 5-6% nelle donne e del 2% negli uomini, così come del resto riscontrato anche nella popolazione sportiva in entrambi i sessi.

 

Diagnosi di laboratorio

La diagnosi di laboratorio di uno stato di carenza di ferro è mirata a indagare le condizioni dei depositi di ferro e la quota circolante.

Bassi livelli di ferritinemia sono un buon indicatore di carenza dei depositi di ferro del midollo osseo. Il protrarsi di uno stato carenziale determina una riduzione dell’eritropoiesi midollare con aumento della protoporfirina eritrocitaria libera (FEP) e della transferrinemia (TIBC), fino allo stadio di anemia conclamata testimoniata, all’esame emocromocitometrico, da una riduzione dell’emoglobina circolante (< 12 mg/dl nelle femmine e < 13 g/dl nei maschi) , dell’ematocrito e del volume corpuscolare medio.

Pur confermando, ai fini della diagnosi di anemia per la popolazione generale, la validità dei valori  di emoglobina sopraccitati, negli atleti sarebbe, invece, preferibile mantenere una concentrazione emoglobinica ai limiti alti dei valori normali ( 14 g/ml nelle femmine, 16 g/ml nei maschi).

 

Carenza di ferro e prestazione sportiva

L’influenza negativa dell’ anemia sideropenica sulla prestazione è stata evidenziata in numerosi studi; di contro una semplice carenza di ferro , deplezione dei depositi e/o eritropoiesi carente, non sarebbe in grado di alterare la capacità di prestazione nell’uomo, sebbene alcuni studi avrebbero fornito dati contrastanti in tal senso.

In particolare Schiene et al. (1983) e Ohira et al. (1981), dopo prove da sforzo massimali, hanno evidenziato una concentrazione plasmatici di acido lattico maggiore in soggetti con valori bordeline di emoglobina rispetto a soggetti con emoglobina del tutto normale.

Studi interessanti sono stati condotti sugli effetti della supplementazione di ferro in soggetti con carenza di ferro nei quali non è stato evidenziato un miglioramento della performance né un aumento della concentrazione di emoglobina. L’eventuale aumento dell’emoglobina, di almeno 1 g/dl dopo un mese di terapia, starebbe a dimostrare uno stadio iniziale di anemia sideropenica.

È comunque difficile trarre dagli studi pubblicati conclusioni univoche e concordanti sull’influenza della carenza di ferro sulla capacità di prestazione di atleti e atlete di diverse discipline sportive. Ciò è reso ancor più evidente dalle diversità metodologiche di approccio al problema utilizzate dai vari autori, dovute, ad esempio, ai diversi metodi utilizzati per il dosaggio del ferro e degli altri parametri, per la diversa correlazione dei test di laboratorio utilizzati e infine anche per le differenti discipline sportive praticate dagli atleti esaminati. Tuttavia, l’analisi dei risultati dei lavori presi in esame, evidenzia, in generale, un ridotto rendimento sportivo in presenza di anemia sideropenica, e pertanto sembra giustificato un approccio terapeutico al problema che renda necessaria la correzione della carenza di ferro già nei primi due stadi.

 

Patogenesi

L’organismo umano è in grado di mantenere una condizione di sostanziale equilibrio rispetto al ferro attraverso tre meccanismi fondamentali:

·        Costituzione di un pool di riserva

·        Modulazione dell’assorbimento in funzione dei bisogni

·        Recupero del metabolismo degli eritrociti

Ci sono numerosi fattori patogenici che possono concorrere a determinare negli atleti, come del resto anche nella popolazione generale, una condizione di carenza di ferro.

·        Aumento del fabbisogno di ferro in conseguenza dell’aumentata sintesi di emoglobina, mioglobina e di tutti gli enzimi contenenti ferro.

·        Condizioni di scarso apporto alimentare di ferro e di altre sostanze necessarie per la sintesi dell’emoglobina, degli eritrociti e degli enzimi respiratori contenenti ferro, come si verifica in genere in caso di regimi nutrizionali ipocalorici protratti per lunghi periodi di tempo, insufficiente consumo di cibi proteici animali, regimi nutrizionali vegetariani o più genericamente inadeguati e/o squilibrati e monotoni.

·        Ridotto assorbimento intestinale: patologie gastrointestinali, interferenze reciproche di vari nutrienti (fattori inibenti)

·        Aumento delle perdite, soprattutto con il flusso mestruale ed altri sanguinamenti, ad esempio gastrointestinali, oltre che con il sudore, le feci e le urine.

      Le perdite di ferro normali corrispondono a circa 1 mg/die negli uomini e variano da 1.4 a 3mg/die nelle donne in età fertile. Nella popolazione normalmente attiva, circa 0.6 mg di ferro vengono perduti con le feci per la desquamazione delle cellule dell’epitelio intestinale ricche di ferritina, mentre la desquamazione di cute, unghie, capelli, nonché le perdite con il sudore sono responsabili della perdita di ulteriori 0.3 mg/die.

Nei corridori di fondo, è stata descritta la presenza di sangue occulto nelle feci probabilmente dovuta ad una transitoria ischemia intestinale e quindi ad un aumento della desquamazione delle cellule della parete dell’apparato gastro-intestinale, in grado di determinare una perdita con le feci di 1.0-1.5 mg/die di ferro, due-tre volte superiore a quella fisiologica. Inoltre, la perdita fecale di ferro può essere incrementata anche dall’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei e dai microtraumi da scuotimento delle anse intestinali dovute all’impatto al suolo del corpo durante la corsa prolungata.

Il sudore è un'altra possibile via per un ulteriore aumento della perdita di ferro nella popolazione sportiva. In letteratura sono descritte perdite da 0.03 a 0.5mg/l. Altri autori parlano di 1mg ogni 50lt di sudore prodotto durante la permanenza in sauna. A questo riguardo è interessante riferire che La Manca et al. (1988) hanno riscontrato una minore perdita di ferro con il sudore negli uomini rispetto alle donne, nonostante i primi producessero una maggiore quantità di sudore a parità di esercizio svolto.

Comunque i dati relativi alla quantità di ferro perso con il sudore negli atleti variano molto in letteratura e vanno interpretati con attenzione, soprattutto perché la composizione del sudore varia con il sito di raccolta, perché, nella raccolta dei campioni per la valutazione dei minerali nel sudore è possibile una contaminazione esterna e, infine, perché non è detto che uno studio a breve termine sia rappresentativo di ciò che accade durante un’attività protratta e intensa.

Alcuni studi hanno anche dimostrato che la pratica di un esercizio fisico può determinare, con diversi meccanismi, delle condizioni di ridotta utilizzazione del ferro stesso anche se le riserve tissutali dell’organismo sono adeguate. In seguito all’aumento del ferro disponibile, per la maggiore emolisi intravascolare, il complesso aptoglobina-emoglobina viene captato dal fegato anziché dalle cellule reticolo-endoteliali; di conseguenza, essendo più lenta la cinetica di rilascio dal fegato rispetto al SRE, ne deriva una minore disponibilità del minerale.

Inoltre durante l’esercizio fisico si determina una reazione della fase acuta che potrebbe rallentare la cinetica di liberazione del ferro da entrambi i compartimenti al pari di quanto avviene negli stati infiammatori.

 

 

Apporti alimentari di ferro e possibili strategie nutrizionali di prevenzione e terapia dell’anemia sideropenica

Gli apporti giornalieri consigliati di ferro per la popolazione italiana suggeriscono un consumo di 18mg/die per le donne in età fertile e 10mg/die negli uomini, molto simile a quanto indicato anche per la popolazione nordamericana.

La dieta tradizionale occidentale fornisce circa 6ml ogni 1000 Kcal. Di conseguenza se nella maggior parte degli atleti il cui apporto calorico totale giornaliero può variare dalle 3000 alle 5000 Kcal è garantito un apporto di ferro sufficiente, negli sport con categorie di peso, o nelle discipline sportive in cui è necessario un apporto peso/statura contenuto, è facile potersi trovare in una condizione di apporto dietetico di ferro ridotto. Studi sulla popolazione sportiva hanno identificato numerose situazioni di ridotto apporto di ferro soprattutto nelle donne e tra queste ancor più tra ginnaste e ballerine.

Il valore nutrizionale dei cibi per un dato nutriente dipende tanto dalla quantità di nutriente in essi contenuta quanto dalla sua biodisponibilità.

Riguardo al contenuto di ferro degli alimenti va detto che il minerale si trova in due differenti forme chimiche, il ferro eme e il ferro non-eme, che hanno anche due diversi meccanismi di assorbimento intestinale.

Il ferro eme è contenuto prevalentemente nei cibi carnei, sotto forma di emoglobina e mioglobina, costituisce circa il 40%del ferro totale presente in questi alimenti, e il suo assorbimento(15-25%) non è modificato da altri fattori in quanto avviene direttamente come complesso porfirinico.

Il ferro non-eme rappresenta la quota restante (60%) del ferro contenuto nelle carni e la totalità del ferro di provenienza vegetale; il suo assorbimento è scarso (2-5%) e suscettibile di ampie variazioni in funzione della diversa composizione della dieta.

Va comunque ricordato che circa il 90% del ferro alimentare si trova sotto forma ossidata (ferro ferrino,Fe3+,ferro non-eme) scarsamente assorbito ( legumi, cereali, verdure, frutta, uova, latte e derivati) mentre solo il restante 10% è presente come ferro ridotto (ferro ferroso, Fe2+,ferro eme) facilmente assorbito (interiora,carne e pesce).

L’assorbimento del ferro avviene a livello della mucosa intestinale attraverso l’intervento di tre differenti, ma contemporanei, meccanismi. Il ferro ferroso è la forma attraverso la quale il ferro viene assorbito maggiormente dalle cellule intestinali.

Per biodisponibilità si intende la quota di nutriente che viene assorbita, trasportata al sito di azione e convertita nella forma biologicamente attiva. I fattori che influenzano la biodisponibilità di un alimento possono essere distinti in fattori dipendenti dall’organismo stesso, e fattori legati all’alimento in cui è contenuto il principio nutritivo.

La biodisponibilità del ferro alimentare si può considerare intorno al 10%. Da studi condotti su alimenti marcati con ferro radioattivo è stato dimostrato che è assorbito dall’uno al 7% del ferro non-eme contenuto in cereali e legumi, il 10-25% di quello proveniente da carne e pesce, e solo l’1-2% presente nel riso, negli spinaci e nelle verdure in genere. E’ scarsamente assorbito anche il ferro delle uova, le cui fosfo-proteine costitutive ne inibiscono l’assorbimento.

L’assorbimento di ferro si modifica con l’età, lo stato di salute e lo stato delle riserve dell’organismo.

Soggetti sideropenici assorbono più ferro rispetto a soggetti con riserve di ferro integre, ciò riguarda tanto l’assorbimento del ferro eme che aumenta del 25-35%,quanto quelle non-eme se pur in misura più modesta(10-20%).

Negli atleti è possibile che si verifichino modificazioni dell’assorbimento del ferro: Ehn et al.(1980) in uno studio effettuato con metodi radioisotopici hanno evidenziato, in condizioni di carenza di ferro, un minore assorbimento tra gli atleti (16.4%) rispetto a soggetti sedentari (30%), anch’essi sideropenici, da attribuire probabilmente ad una aumentata velocità di transito intestinale(Keeffe,et al.1984).

Come già detto in precedenza nella dieta esistono fattori in grado di favorire o di inibire l’assorbimento del ferro non-eme.

Tra i fattori favorevoli dobbiamo ricordare in primo luogo la carne (tutte, non solo quelle rosse) e i pesci che favoriscono anche l’assorbimento del ferro non-eme contenuto in altri alimenti(Layrisse et al.1968, Layrisse et al. 1969) con un meccanismo ancora non del tutto conosciuto, ma che può consentire un aumento fino a 10 volte.

La carne potrebbe produrre questo effetto, dose-dipendente, attraverso la stimolazione della secrezione biliare, del succo pancreatico ed enterico oppure attraverso fattori meccanici, o ancora inibendo l’effetto negativo dei fitati (Layrisse et al. 1984).

Una dieta corretta ed equilibrata, con una buona quota di carni rosse, cereali e legumi può anche raddoppiare la percentuale di ferro-non eme assorbito.

La presenza,in particolare, di alcuni aminoacidi (la lisina, la cistina e l’istidina)favorirebbe l’assorbimento del ferro attraverso la formazione di complessi solubili.

Inoltre, l’assorbimento del ferro aumenta in presenza di agenti riducenti quali ad esempio l’acido ascorbico/vit.C (frutta e vegetali), acido malico (frutta,soprattutto le mele), acido tartarico (vino bianco e frutta, soprattutto l’uva), acido lattico (crauti,latte acido, e cibi fermentati in genere) e acido citrico (limoni e agrumi in genere).

L’ azione favorente dell’acido ascorbico è ottimale quando è assunto contemporaneamente al ferro non-eme, e la sua efficacia si riduce se, o sotto forma di principio nutritivo oppure di prodotto di sintesi, viene assunto a ore di distanza dai pasti.

L’acido ascorbico riduce il ferro ferrino in ferroso e si lega ad esso, sottraendolo così all’azione inibente di altri fattori chelanti; in tal modo il ferro sarebbe assorbito insieme all’ac. Ascorbico e in maggiore quantità  (la biodisponibilità del ferro non-eme può aumentare fino a 2-3 volte).

Tra i fattori inibenti troviamo agenti chelanti come i fitati (noci, legumi, cereali, crusca ), la fibra alimentare solubile (soprattutto l’ emicellulosa ) e insolubile (la cellulosa avrebbe minore effetto), l’acido ossalico (spinaci, rabarbaro, rape, pomodori, prezzemolo, legumi, tè caffè e cioccolata), i polifenoli (tè, caffè e vegetali), calcio e fosfati (latte e derivati, spinaci), acido tannico e gallico (tè e caffè) e altre sostanze tecnologicamente incluse negli alimenti come l’ acido etilendiamino-tetracetico (EDTA), quest’ultimo utilizzato come additivo sequestrante, in grado di eliminare le tracce dei metalli eventualmente presenti nei cibi ed altamente dannosi per la loro conservazione.

La bassa biodisponibilità del ferro contenuto nei prodotti di origine vegetale (cereali e legumi) è attribuita in massima misura alla presenza del fitato, e in particolare del mioinositolo esafosfato, un anione dotato di forte capacità chelante nei confronti di ioni divalenti.

L’azione inibente espletata dai fitati è ridotta dal lievito che è capace di degradarli e quindi di limitare la riduzione dell’assorbimento del ferro e di altri minerali contenuti nei cereali quando questi sono assunti sotto forma di pane e di altri prodotti da forno in genere che richiedono l’uso del lievito.

Caffè e tè agiscono come inibitori a livello gastrointestinale per il loro contenuto in tannino che forma tannato di ferro non assorbibile, la loro azione è dose-dipendente.

L’azione inibitoria del calcio sull’assorbimento del ferro, per quanto non ancora del tutto conosciuta, sembrerebbe mediata dalla riduzione dell’acidità del tratto gastrointestinale e dalla capacità di questo minerale di chelare il ferro rendendolo così meno disponibile per l’assorbimento da parte delle cellule della parete intestinale.

A tal proposito i risultati degli studi effettuati da Cook et al. (1991), Monsen-Cook (1976) etc dimostrano chiaramente l’azione di interferenza espletata da quantità anche modeste di calcio ( ad esempio 273 mg, l’equivalente di circa 250 grammi di latte o di 20 grammi di parmigiano) sull’assorbimento del ferro (dal 14 al 60% in meno ) quando consumati contemporaneamente in pasti completi con cibi ricchi di ferro.

Per quanto concerne ancora altri fattori in grado di interferire con l’assorbimento intestinale del ferro, è importante ricordare anche l’ antagonismo competitivo per i siti di trasporto transmembrana che si instaura tra il ferro non-eme ed altri ioni come il rame (Cu), il cobalto (Co) e il magnesio (Mn).

Pertanto bisogna essere molto cauti nel consigliare l’uso di supplementi nutrizionali di vario tipo e occorre la massima attenzione quando si formulano indicazioni nutrizionali finalizzate alla prevenzione e/o alla correzione di presunte e non ben documentate condizioni di carenza di alcuni nutrienti.

Il rischio è quello di non valutare adeguatamente gli stretti legami che uniscono tra loro i vari nutrienti e di aggravare condizioni preesistenti di carenza, più o meno manifesta, o addirittura di produrne di nuove, interferendo con il sottile equilibrio che regola la biodisponibilità dei vari micronutrienti.

 

 

 

Indicazioni nutrizionali

La specificità della prescrizione di una dieta per gli atleti è legata anche al diverso biotipo morfologico dei soggetti. Quindi sarà diverso l’approccio in adulti maschi impegnati, ad esempio, in uno sport di squadra, rispetto ad una nuotatrice adolescente.

Gli alimenti di origine animale più ricchi di ferro eme sono la carne, le interiora e il pesce. Quelli vegetali più ricchi di ferro non-eme sono i legumi, gli spinaci, il radicchio verde e l’ indivia. La dieta italiana si distingue da quella di altri paesi europei e nordamericani per una prevalenza di fonti di ferro di origine vegetale (85%) rispetto a quelle di origine animale. Inoltre nella nostra dieta vi è anche un favorevole rapporto tra fattori favorenti, primo tra tutti l’acido ascorbico, e inibenti quali i fitati, i polifenoli e il calcio. Da questo punto di vista, quindi, nella dieta italiana è ottimale la biodisponibilità del ferro non-eme.

Le indicazioni nutrizionali per un corretto apporto di ferro negli atleti possono essere distinte in preventive e terapeutiche,tenendo presente che, a nostro avviso, il primo approccio terapeutico non solo alla carenza di ferro ma anche di altri nutrienti deve essere senz’altro dietetico prima che farmacologico.

In tal senso condividiamo perfettamente le conclusioni del lavoro di Weight (1993) “….sebbene la supplementazione orale con sali ferrosi dia benefici sul piano ematologico ma non necessariamente dal punto di vista fisiologico a questi soggetti, il suo uso indiscriminato da parte degli atleti con bilancio marziale positivo è controindicato”.

L’apporto di ferro con la dieta deve essere periodicamente valutato con le adatte indagini sui consumi alimentari abitualmente adottati dagli atleti, così come altrettanto periodicamente si deve valutare lo stato nutrizionale del ferro attraverso le opportune indagini ematochimiche.

Nel predisporre un regime dietetico per un atleta è relativamente semplice garantire un apporto di ferro corretto in soggetti in cui l’apporto di Energia Totale Giornaliera (ETG) è elevato, mentre potrebbe essere invece difficile garantirlo nei soggetti, quali giovani atlete puberi, che praticano discipline a basso dispendio energetico e nelle quali sia necessario mantenere un peso corporeo contenuto.

È indispensabile che l’apporto giornaliero di ferro corrisponda, nel limite del possibile, ai livelli raccomandati (LARN/RDA) per le diverse fasce di età, con eventuali adeguamenti che tengano conto dell’aumentato dispendio energetico e delle caratteristiche fisiometaboliche delle diverse discipline sportive.

Anche l’apporto proteico giornaliero dovrà essere sufficiente per soddisfare gli aumentati fabbisogni specifici per le diverse discipline sportive e per garantire un corretto apporto di aminoacidi essenziali, necessari per la sintesi della globina e delle porfirine, e di proteine animali in genere.

A tal proposito sarà sempre utile sconsigliare l’adozione di abitudini alimentari vegetariane o simili da parte degli atleti, tanto più se impegnati in continui e intensi programmi di allenamento.

Particolare cura deve essere posta nell’ottimizzare l’assorbimento del ferro fornito con gli alimenti.

In tal senso sarà sempre opportuno, specialmente per le categorie a rischio (bassi apporti energetici alimentari, attività aerobiche, lunghe ed intense sedute di allenamento ), favorire le più idonee associazioni di cibo ad esempio le carni con prodotti vegetali, in particolare quelli ricchi di acido ascorbico (vitamina C) e/o rafforzare l’assorbimento del ferro non-eme delle verdure, dei legumi e dei cereali con l’aggiunta di quantità adeguate di proteine animali e di ferro eme (carni , interiora e pesci).

Inoltre altrettanto attentamente sono da evitare quelle associazioni di cibi maggiormente incriminate come capaci di ridurre l’assorbimento del ferro alimentare, soprattutto non-eme.

Quindi si dovrà scoraggiare, nella popolazione a rischio di carenza di ferro, l’uso del latte come bevanda consumata durante i pasti o in concomitanza dell’assunzione di alimenti contenenti ferro. Analoghe considerazioni valgono ovviamente anche per gli altri prodotti lattiero-caseari.

Anche l’uso di alimenti ricchi di fitati, cereali integrali in particolar modo, e di tannino, quali tè e caffè specialmente, sarà opportuno che non coincida con quello di alimenti ricchi di ferro per non vanificare il tentativo di garantire un buon rifornimento del minerale.

Queste, dunque, possono essere, in estrema sintesi, le indicazioni nutrizionali più efficaci, per quanto conosciuto a tutt’oggi, per tentare di prevenire e/o correggere le condizioni di carenza di ferro degli atleti, così come del resto anche della popolazione generale.

 

 


 

MATERIALE E METODI

 

         Allo scopo di valutare l’andamento dei principali parametri ematochimici legati al metabolismo del ferro nel corso di un anno di attività sportiva, abbiamo sottoposto gli atleti Probabili Olimpici della Federazione Italiana Pentathlon Moderno ad una serie di prelievi a scadenza bimensile.

         Nel corso di ciascuna analisi venivano valutati i seguenti parametri ematochimici:

·        N° Globuli Rossi

·        Ematocrito

·        Emoglobina

·        Sideremia

·        Ferritina

·        Transferrina

Gli atleti, 5 di sesso maschile (età media  22.8 ± 1) e 5 di sesso femminile (età media  25.8 ± 3.5), nel corso della stagione agonistica (dal 01-09-2000 al 30-09-2001) sono stati anche sottoposti ad integrazione farmacologia con prodotti a base di ferro al fine di prevenire l’insorgenza di anemia sideropenica.

Tale forma preventiva è stata realizzata attraverso una supplementazione di 3 settimane di ferro, acido folico e vitamina C ripetuta con una cadenza bimensile.

Durante l’anno dello studio gli atleti hanno mantenuto le loro normali abitudini alimentari.


 

RISULTATI

 

I Grafici da 1 a 6 riportano i risultati dei 5 atleti di sesso maschile riferiti rispettivamente all’andamento nel corso della stagione agonistica 2000-2001 dei valori relativi ai seguenti parametri ematochimici:

·       Globuli rossi (Grafico 1)

·       Emoglobina (Grafico 2)

·       Ematocrito (Grafico 3)

·       Sideremia (Grafico 4)

·       Transferrina (Grafico 5)

·       Ferritina (Grafico 6)

 I Grafici da 7 a 12 riportano i risultati dei 5 atleti di sesso femminile riferiti rispettivamente all’andamento nel corso della stagione agonistica 2000-2001 dei valori relativi ai seguenti parametri ematochimici:

·       Globuli rossi (Grafico 7)

·       Emoglobina (Grafico 8)

 

 

·       Ematocrito (Grafico 9)

·       Sideremia (Grafico 10)

 

 

 

·       Transferrina (Grafico 11)

·       Ferritina (Grafico 12)

I grafici da 13 a 18 sono invece riferiti all’andamento nel corso della stagione dei valori medi riportati dagli atleti di sesso maschile per i seguenti parametri:

·       Globuli rossi (Grafico 13)

·       Emoglobina (Grafico 14)

 

 

·       Ematocrito (Grafico 15)

·       Sideremia (Grafico 16)

 

 

·       Transferrina (Grafico 17)

·       Ferritina (Grafico 18)

I grafici da 19 a 24 sono invece riferiti all’andamento nel corso della stagione dei valori medi riportati dagli atleti di sesso femminile per i seguenti parametri:

·       Globuli rossi (Grafico 19)

·       Emoglobina (Grafico 20)

 

 

·       Ematocrito (Grafico 21)

·       Sideremia (Grafico 22)

 

 

·       Transferrina (Grafico 23)

·       Ferritina (Grafico 24)

 

 
DISCUSSIONE

Se analizziamo i risultati ottenuti dagli atleti di sesso maschile risulta evidente come i parametri presi in considerazione abbiano un andamento sovrapponibile al periodo di allenamento che caratterizzava il momento dell’effettuazione del prelievo ematico.

Infatti se prendiamo in considerazione i grafici relativi ai valori medi riferiti a globuli rossi, emoglobina ed ematocrito (Grafici 13, 14, 15), possiamo facilmente osservare come i prelievi effettuati al momento di inizio dell’attività fisica presentassero i valori più alti mentre la transferrina (Grafico 17) seguiva un andamento perfettamente opposto avendo il picco più alto in corrispondenza del periodo di massimo carico di lavoro.

La sideremia (Grafico 16), non presenta, invece un andamento relazionabile al periodo di allenamento mantenendo per tutto il periodo di osservazione un andamento abbastanza costante.

La ferritina (grafico 18) presenta un andamento piuttosto particolare presentando un picco in corrispondenza del periodo di richiamo di preparazione. Questo potrebbe essere spiegato dall’effetto di una integrazione di ferro particolare (alcuni atleti hanno eseguito una supplementazione per via endovenosa) dovuta ai risultati particolarmente deficitari riscontrati nelle analisi precedenti.

            Per quanto riguarda i risultati ottenuti dagli atleti di sesso femminile, troviamo un’analogia con i loro colleghi circa l’andamento dei valori medi della ferritina (grafico 24).

Prendendo invece in considerazione i grafici relativi ai valori medi riferiti ai globuli rossi (grafico 19) e all’emoglobina (grafico 20) non è riscontrabile un andamento relazionabile al periodo di allenamento, mantenendo, salvo alcune isolate variazioni, per tutto il periodo di osservazione dei valori molto costanti.

L’ematocrito (grafico 21), presenta una forte diminuzione dei valori medi in corrispondenza della fine del periodo di massimo carico e dell’inizio del periodo preagonistico. Rispetto ai grafici relativi all’ematocrito  degli atleti di sesso maschile, non si notano picchi in corrispondenza della ripresa degli allenamenti dopo il periodo di riposo. Questo è probabilmente dovuto al minor numero di giorni di riposo avuti in quanto tre delle cinque atlete prese in esame hanno partecipato, insieme ad uno solo dei cinque colleghi maschi, alla finale di Coppa del Mondo.

La transferrina (grafico 23), presenta un andamento molto simile a quello riscontrato negli uomini, con un forte picco in corrispondenza del periodo di massimo carico. In corrispondenza degli altri periodi presenta dei valori costanti.

La sideremia (grafico 22) non presenta valori relazionabili al periodo di  allenamento, evidenziando dei cali in corrispondenza  dei  periodi  di ripresa e di massimo carico.
CONCLUSIONI

La ricerca effettuata ha evidenziato come l’anemia sideropenica indotta dall’attività sportiva sia fortemente presente in atleti praticanti attività  agonistica di alto livello, soprattutto in quelli di sesso femminile.

In particolare poi, in uno sport come il pentathlon moderno, dove a causa della presenza sia di sedute di allenamento di lunga durata che di sedute con ripetute ad elevata intensità, possiamo trovarci di fronte a quadri ematologici e fisiopatologici come l’”anemia acuta da sport” o la “pseudoanemia da emodiluizione”. 

Tutti questi fattori non fanno che evidenziare la necessità di un integrazione di ferro e una giusta associazione alimentare al fine di ottimizzare l’assimilazione di questo minerale, essendo queste le uniche vie possibili oltre alla somministrazione endovenosa, peraltro rischiosa per l’incidenza di casi di shock anafilattico, per evitare le grandi conseguenze sulla prestazione che  può provocare l’anemia sideropenica. 

         Va infine ricordato che, una volta deplete le scorte di ferro del nostro organismo, la biodisponibilità molto bassa di tale elemento rende molto difficile una rapida reintegrazione di tale proteina plasmatica. Ecco, quindi,   che la corretta prevenzione attuata attraverso soprattutto una corretta alimentazione ed un’oculata reintegrazione monitorizzata attraverso un controllo ematologico costante nel tempo, costituisce la via migliore per non incorrere in questo problema.

 

BIBLIOGRAFIA

 1.Balaban E.P. “Sports anemia” Clinics Sports Med.11,2,313-325,1992

 

2 Barr S.I. “Energy and nutrient intakes of elite adolescent swimmers” J.Can.diet.Assoc.50:20,1989

 

3 Candau R., Busso T. and Lacour J.R. “effects of training on iron status in cross-country skiers” Eur.J.appl.Physiol. 64:497-502,1992

 

4 Clarkson P.M. “Tired blood:Iron deficiency in athletes and effects of iron supplementation” Sports Science Exchange 3,28,1990

 

5 Cook J.D., Finch C.A.,Smith N.J. “Evaluation of the iron status of a population “ Blood 48: 449,1976

 

6 Ehn L., Carlmark B., Hoglund B. “Iron status in athletes involved in intense physical activity” Med Sci Sports Exerc 12:61-64,1980

 

7 Hallberg L. and Rossander-Hulten L. “Iron requirements in mestruating women” Am.J.Clin.Nutr. 54:1047,1991

 

8 Harris S.S. “Helping active women avoid anemia” Phys.Sports Med.,23,5:35-46,1995

 

9 Kies C.V., Driskell J.A. “Sports Nutrition. Minerals and Electrolytes” CRC Press, 1995

 

10 Pate R.R. et al. “Iron status of female runners” Int.J.Sport Nutr.3:222-231,1993

 

11 Raunikar R.A., Sabio H.  “Anemia in the adolescent atlete” AJDC,146:1201-1205,1992

 

12 Sorti E. “Anemie sideropeniche. Diagonistica e terapia” Federazione Medica 8, 1992

 

13 Weaver C.M. and Rajaram S. “Exercise and iron status” J.Nutr.122:782-787,1992

 

14 Weight L.M. “Sports anaemia. Daes it exist ?” Sports Med.16 (1):1-4,1993