Analisi |
Leggo il commento scritto da
Andrea Valentini sulla relazione tenuta da Daniele Masala in
occasione del corso di aggiornamento e formazione dei tecnici di tiro
illustrando la metodologia
dell’allenamento, fisico e mentale, e la preparazione in vista
della gara. Andrea
Valentini coglie nel
messaggio di Masala un concetto fondamentale, ovvero che “la
parola d’ordine a quei tempi era non lasciare nulla al caso”.
Inizierei
da questo spunto per sviluppare alcuni miei pensieri. Come
atleta che ha vissuto di persona gli avvenimenti di quei periodi gloriosi
per il P.M. italiano, posso tranquillamente asserire che a quei tempi il
“caso” non era minimamente contemplato e assolutamente
concepito dall’intero staff di Pentathlon Moderno. Ricordo,
come fosse ieri, che in occasione della mia convocazione al collegiale per
i C. Mondiali Junior e Senior del 1986 con sede a Montecatini (sebbene
fossi ancora nella cat. Allievi), per affiancare in allenamento i Campioni
di allora ( per i Senior Masala, Massullo, Cristofori, Petroni , Toraldo per gli Junior,
Santoro, Tiberti, Valensise, Mattei) e poter fare esperienza allenandomi
con loro, che la sensazione era proprio quella che nulla fosse lasciato al
caso. Ogni
aspetto, qualsiasi dettaglio era studiato nei minimi particolari
e con meticolosità. Si
respirava un clima altamente professionale e la qualità dei tecnici era
la più alta che il Pentathlon avesse mai avuto. Lo
staff era formato da nomi come Tirinnanzi,
Saini, Tomassini,
Cacchi, Amicosante.
Ci sono altri nomi dietro le vittorie dei Pentatleti di allora come, Bruna Rossi, Mantelli, i fratelli Albanese, Carnevali, Andolfi, ed
altri. Ma andiamo a guardare più da vicino i tecnici che nel passato formarono uno staff veramente vincente. Ugo Amicosante. Da “Multisport” 1988 “……Smessa la
pratica agonistica, nel 1972, Ugo Amicosante inizia ad allenare all'Acqua
Acetosa i giovanissimi per poi entrare nella nazionale di Pentathlon
Moderno nel 1975. Oggi Amicosante allena
una squadra di "cecchini", sicuramente la più forte del mondo
nella prova di tiro con la pistola. Tre generazioni di pentatleti sono
passate tra le sue cure e la percentuale dei punti in gara realizzati
dagli azzurri raggiunge attualmente il massimo consentito, 200 su 200.
Anche i maestri russi inciampano adesso, sempre più frequentemente,
sull'ostacolo azzurro. Il merito di queste
straordinarie "performance" dei pentatleti azzurri rimane un
segreto che Amicosante preferisce custodire gelosamente. Di certo egli
sembra aver trovato davvero l' antidoto per combattere l'emotività che
egli non seppe trovare nella sua gara olimpica di Città del Messico. Ma non c'è nulla di
magico dietro questi successi. Amicosante mira dritto nell'intimo dei
pentatleti, scavando nel labirinto della loro psiche. In parole più
semplici egli non fa che entrare in stretto rapporto d'amicizia con i suoi
ragazzi cercando di capire e rimuovere le cause di un possibile cedimento
psicologico in gara. È
un lavoro lungo che presuppone la conoscenza reciproca e soprattutto la
fiducia tra il tecnico e i suoi atleti. Ecco che allora, quando questo
legame diventa saldo, affiora nell'atleta la consapevolezza nell'ammettere
e spiegare un suo possibile errore, come pure nell'essere cosciente delle
proprie possibilità. Il risultato è la “sdrammatizzazione”
della gara, l'allentamento dei condizionamenti emotivi che possono
pregiudicarne il risultato. Negli allenamenti di tiro che si svolgono per
circa tre volte la settimana a Passo Corese, Amicosante fa di tutto per
creare le condizioni di un interesse, di una motivazione sempre presenti
nell'atleta, così da evitare il pericolo della monotonia. Precisione,
coordinazione e lavoro specifico per ognuno di loro. Tre settimana fa a
Budapest i pentatleti azzurri hanno sparato alla grande: 199 Massullo, 198
Daniele Masala, 195 Bomprezzi e 193 Toraldo. E siamo ancora al 70 per
cento della preparazione. A Seul saranno al meglio delle loro possibilità
e senza timore di crolli psicologici. Parola di Ugo Amicosante.”
Mauro Tirinnanzi. Dal “sito” FIPM. “…..Il 1984 era però
l'anno del trionfo. Le avvisaglie si erano avute con successi individuali
e di squadra ai mondiali, e l'olimpiade americana di Los Angeles decretava
un successo senza precedenti. Oro olimpico per Daniele Masala, bronzo per
Carlo Massullo, oro a squadre con l'apporto di Pier Paolo Cristofori. C'è da rilevare che nel frattempo la federazione, alla cui guida era
stato eletto Alberto de Felice, si era organizzata in maniera
professionale con un settore tecnico articolato diretto dal maestro di
sport Mauro Tirinnanzi studioso della disciplina, profondo conoscitore
degli atleti, che aveva istituito uno staff composto da grandi
professionisti, quali Gianfranco Saini per il nuoto, Amicosante e
Mantelli per il tiro, Sergio e Sandro Albanese per l'equitazione, Tito
Tomassini per la scherma e Bruno Cacchi, ex ct della nazionale di atletica
leggera per la corsa. Sull'onda di questo successo gli azzurri seguitavano
a dominare la scena…..” Gianfranco
Saini. Oggi, direttore sportivo
delle squadre nazionali della FIN ha ricoperto, negli anni d’oro del
Pentathlon, l’incarico di tecnico del nuoto. E proprio in quegli anni
l’Italia annovera in questa disciplina tra i più forti nuotatori del
Pentathlon mondiale. Ha il merito indiscusso di aver saputo adattare le
sue conoscenze di metodologia dell’allenamento e la sua esperienza del
nuoto puro al nuoto del Pentathlon Moderno. Metodologia, analisi dei dati,
applicati con criterio scientifico hanno determinato una metodologia di
allenamento dimostratasi vincente.
E’ stato, ad oggi, il solo tecnico responsabile di una squadra nazionale
Senior che abbia saputo combinare la disciplina del nuoto con le altre 4
discipline del P.M. interpretando
in modo perfetto le esigenze del pentatleta nel nuoto,
fornendo un contributo determinante per la conquista dei titoli olimpici e
mondiali. Tito Tomassini. Da internet “….figlio d’arte
di generazioni di Maestri di scherma, dopo anni di studio e
militanza nell’arte dello schermire partecipa come maestro e
Coordinatore di P.M. a quattro Olimpiadi (Mosca, Los Angeles, Seul,
Barcellona) ottenendo con i propri atleti 2 Ori, 3 Argenti e 2 Bronzi a
squadre ed individuale.” Il Maestro Tomassini, dal
qual ebbi l’onore di ricevere diverse lezioni di scherma, è stato
l’artefice della formazione dei più grandi schermidori nel Pentathlon.
In quegli anni vi era un altissimo livello della scherma del P.M. basti
pensare diverse convocazioni di alcuni Pentatleti in gare di Coppa del
Mondo di scherma. In quegli anni Tomassini, insieme agli altri Maestri di
scherma del P.M. volle un sala di
scherma aperta a tutti gli atleti di ogni categoria e livello per i
normali allenamenti di scherma. Quindi Masala e Massullo tiravano
regolarmente con atleti molto più piccoli di loro e molto meno esperti.
Il livello della sala di scherma era tecnicamente molto alto e faceva si
che anche i pentatleti principianti nella scherma acquistassero in poco
tempo abilità e destrezza. Inoltre erano frequentissimi gli allenamenti
con gli schermidori; nel ricordo di coloro che hanno calcato i campi in
quegli anni è indelebile il torneo organizzato negli anni ’80 tra
schermidori e pentatleti nazionali “la
stoccata d’oro” voluto
fortemente anche dal Maestro Tomassini. Bruno
Cacchi. Presentare il Prof. Bruno
Cacchi diventa quanto mai oneroso se bisogna elencare gli atleti da lui
seguiti. Ha allenato molti campioni mondiali ed olimpici dal calibro di
Paola Pigni, Giovanna Trillini ed i pentatleti di più generazioni, tra
tutti, Masala e Massullo. Personalmente ho una grande considerazione per
questo uomo di scienza (cercare
di identificarlo solo come allenatore sarebbe troppo riduttivo); profondo
conoscitore della meccanica e della fisiologia umana ha da sempre
applicato le sue conoscenze scientifiche alle discipline di cui si è
occupato. Ha fatto anch’egli parte
dello staff che ha conseguito i più grandi successi nel P.M. come
tecnico della corsa. Andrea,
per risponderti più specificatamente al tema dell’allenamento del tiro,
in quegli anni illuminati la
preparazione tecnica del tiro
andava di pari passo con quella psicologica. Bruna Rossi, si occupava degli aspetti psicologici degli atleti negli anni ‘80 seguendo in particolare modo la disciplina del P.M. Autrice di numerosi libri ed articoli sulla psicologia applicata allo sport, è oggi docente universitaria all’Università di Grenoble (Francia), una delle università europee più prestigiose. Con un passato di atleta internazionale nella specialità dei tuffi, di preparatrice di squadre di alto livello (squadra nazionale italiana di pallanuoto vincitrice di Giochi Olimpici, squadre di serie A di calcio, pallavolo) e di squadre e di atleti di sport individuali praticati al massimo livello (Pentathlon Moderno, America’s Cup e altri), rappresenta uno dei massimi esperti per la preparazione alle competizioni dal punto di vista psicologico, capace di indirizzare verso adeguate tecniche di comunicazione per la corretta gestione dei rapporti con gli atleti, all’interno dello staff e nella coabitazione, spesso difficile, con i programmi e le diverse personalità degli allenatori di alto livello. Alla luce di ciò la mia domanda è quanto tempo i pentatleti hanno dedicato alla preparazione mentale dalla fine degli anni ’90 ad oggi? Quali e quanti atleti di alto livello, i nazionali dei vari gruppi di merito, sono stati indirizzati verso l’approccio mentale alle gara? Quanti di loro sono stati messi in condizione di approfondire ed allenare questo aspetto fondamentale per una preparazione che sia veramente di alto livello? Rivolgendomi direttamente agli atleti chiedo chi tra di voi ha mai effettuato test di psicodiagnosi per la valutazione delle proprie caratteristiche psicologiche e capacità cognitive? Chi ha svolto un serio programma di tecnica di preparazione mentale? Chi ha mai sentito parlare della tecnica del pensiero positivo, di goal setting, o di training propriocettivo? Quanto tempo avete dedicato all’allenamento della concentrazione? Quali tecniche di rilassamento conoscete o praticate? Il training autogeno di Schults o il rilassamento propriocettivo di Jacobson? Avete mai lavorato sulle tecniche di respirazione? Vi sono mai state illustrate la tecnica la visualizzazione, i principi del Self talk, o spiegato l’allenamento ideomotorio? Tutto questo fa parte di un programma di preparazione mentale che deve essere necessariamente inserito in una metodologia di allenamento che abbia la pretesa di essere un programma di allenamento per atleti di alto livello. Dal sito di www.psicologiasportiva.it: “…Uno
degli obiettivi più nobili della preparazione mentale è rendere l'atleta autonomo. Per arrivare a questo obiettivo, però, sono
necessari dei buoni maestri e
anni di allenamenti fisici e mentali. Il contributo che, in questo processo
di maturazione dell'atleta, può dare l'allenamento mentale,
fondamentalmente, è di conoscenza e consapevolezza delle risorse di cui
l'uomo è stato dotato, ma che non sempre utilizza a pieno. Infatti,
pensare positivo, avere degli obiettivi, ascoltare il proprio corpo,
sapersi concentrare, imparare a rilassarsi, utilizzare l'immaginazione,
impostare un dialogo positivo con se stessi, ripetere a mente il gesto
atletico perfetto, non sono altro che degli strumenti per "tirar
fuori" da ogni individuo le energie più profonde che ciascuno
possiede. Quel di più che fa la differenza. Un atleta che, per anni, ha
utilizzato queste tecniche avrà acquisito le capacità per gestire al
meglio tutto il periodo della preparazione di un evento importante, le
fasi di attivazione immediatamente precedenti la gara, la gara stessa ed
il dopo gara, in maniera completa e matura. Quindi, allenamento significa soprattutto nell’alto livello, allenamento mentale – cognitivo che deve accompagnare l’atleta lungo tutto il corso della sua carriera sportiva. Caro Valentini, quando hai parlato con Daniele Masala so che hai sicuramente avvertito nelle sue parole una dimensione sportiva così professionale che tu, malgrado la tua voglia di fare ed apprendere, non hai mai vissuto perché, come i tuoi colleghi, non siete mai stati messi in grado di venirne a conoscenza. Proponi a Daniele di leggere quel che ho scritto sull’allenamento mentale; sicuramente conoscerà molto bene le tecniche sopra citate e so per certo che ne usava diverse per il suo allenamento. Questo perché lo staff tecnico di allora aveva le conoscenze, l’esperienza e profonde nozioni di metodologia dell’allenamento per capire che nulla poteva e doveva essere lasciato al caso, proprio come hai potuto sentire dal Campione in persona. E pensare che poco prima degli anni ’80 si cominciò a intraprendere studi di psicologia applicata allo sport; nel Pentathlon questa metodologia è stata abbandonata quando si è chiuso il ciclo di questi grandi campioni. Anni di studi, di ricerche ed applicazioni al Pentathlon, sono state completamente abbandonate e lasciate nel dimenticatoio. Dopo i giochi olimpici di Atlanta 1996 si è voluto chiudere definitivamente un ciclo, troncando in modo estremamente traumatico con un passato ancora troppo recente. A livello federale, dopo un paio d’anni di passaggio (Picone e Andreozzi) si è definitivamente instaurata una classe dirigente che, con pochi e non significativi cambiamenti negli anni, è rimasta quella attuale. Dopo l’elezione del 1998, si è iniziato così a modificare ogni cosa stralciando il naturale processo progressivo di transizione. In questo modo non c’è stato quella necessaria trasmissione di esperienza che i tecnici più inesperti dovevano ereditare dai quelli più competenti; allo stesso modo per gli atleti che uno dopo l’altro sono stati messi in condizione di smettere non potendo così affiancare quelli emergenti che hanno inevitabilmente pagato fino ad oggi un isolamento agonistico. Isolamento che si è tradotto in una immensa difficoltà di crescita per i giovani atleti e in un lunghissimo periodo di insuccessi in campo internazionale. Un gap generazionale che solo oggi si sta riducendo. Anche il reparto tecnico è stato notevolmente ridotto dal punto di vista qualitativo, basti pensare a G. Cardelli catapultato in quegli anni alla guida della nazionale maggiore da esperienze nazionali solo a livello giovanile, o alla perdita di un campione come C. Massullo già alla guida della nazionale Junior con risultati più che positivi e progressivamente all’impoverimento di tutto il settore tecnico con l’uscita dei tecnici più rappresentativi e l’allontanamento di quei campioni che doveva essere i tecnici futuri. Talenti come Valentini, la Corsini ma anche Pecci e molti altri, hanno pagato questa situazione, subendo enormemente questa contesto. A mio avviso hanno ritardato di molti anni i loro successi sportivi e sicuramente non hanno ancora raccolto quanto avrebbero potuto se ci fosse stato un differente assetto gestionale e tecnico. Ed a farne le spese di questa inesperienza tecnica e gestionale sono inevitabilmente questi stessi atleti come dimostrano molti episodi; ricordo, ad esempio, la mala gestione dell’evento inerente l’ultima fase delle qualificazioni per le Olimpiadi del 2004 che come effetto ha rischiato di interrompere precocemente la carriera sportiva di S. Pecci, oltre che avvelenare un clima già non disteso all’interno della nazionale. Più recentemente, l’inesperienza gestionale dello staff nazionale ha determinato un forte attrito con gli atleti delle Fiamme Azzurre che ha avuto come effetto la meditazione al ritiro di una delle più forti atlete a livello mondiale, C. Corsini, la defezione alla competizione mondiale del 2006 della stessa Corsini, di Valentini e di Sara Bertoli, i nostri atleti in quel momento più rappresentativi. Nel calderone degli errori
macroscopici dello staff della nazionale è da mettere anche
l’aggravamento dell’infortunio ai danni di N. Benedetti alla base del
calcagno che nell’occasione è stato fatto gareggiare nella prova di
corsa già infortunato. Senza appello è l’errore grossolano in
occasione della prova di corsa fatta disputare a C. Corsini nell’ultima
gara di P.M. da Lei disputata; come atleta posso capire il desiderio di
terminare la gara anche dopo aver subito l’infortunio, ma come
allenatore e come fisioterapista non avrei mai dato il consenso
all’atleta di disputare la prova di corsa, soprattutto per la scarsa
valenza che rappresentava quella gara per i futuri impegni della Corsini.
Senza ombra di dubbio il quadro patologico a carico del suo ginocchio si
è aggravato ulteriormente dopo aver terminato i 3000m di corsa; purtroppo
ancora ad alto livello non si hanno le conoscenze adatte per capire che
quando un atleta è infortunato si deve aver il coraggio di una decisione
che andrà anche a discapito della prestazione ma a favore della salute
dell’atleta. E’ un dato di fatto che al momento la Corsini ha dai 2 ai
3 mesi di stop con un ulteriore fase riabilitativa da sostenere,ed essendo
a conoscenza della diagnosi e del tipo di infortunio sono del parere che
si poteva evitare questo lungo periodo di fermo bloccandola prima della
corsa o dopo pochi metri considerando il fatto ulteriore che il passo di
percorrenza era di 4’ al Km.. In tutti questi anni ho potuto fare il confronto tra questi ultimi 10 anni e gli anni precedenti in cui vedevo come si allenavano campioni come Masala, e Massullo. La sensazione che ho sempre avuto era di approssimazione mista alla totale inesperienza nel gestire gli atleti, soprattutto quelli più maturi che poi hanno preferito smettere ed allontanarsi dal Pentathlon. Mi salta in mente la differenziazione degli allenamenti che già si applicava negli anni ’80 nella programmazione della nazionale; ho ancora davanti agli occhi un allenamento di corsa della nazionale di quei tempi: Bomprezzi e Massullo che facevano un programma diverso da Masala (un maestro nel sapersi gestire), e Petroni eseguire un altro programma di corsa diverso da tutti gli altri. Questo modo di lavorare si è abbandonato per anni facendo svolgere allenamenti “di massa” indifferentemente a tutti gli atleti. Con il cambio tecnico completo della nazionale Junior e Senior , il solo che abbia reintrodotto con forza un discorso di “allenamento differenziato” è stato il tecnico Vincenzo De Luca. Egli ha cercato di introdurre nel Pentathlon una nuova metodologia dell’allenamento indirizzando gli allenamenti a migliorare le singole carenze di ogni atleta. Lampante è il caso Corsini – Bertoli le quali hanno bisogno di allenamenti diametralmente opposti a causa delle loro differenti caratteristiche fisiche. Lo scorso anno, in occasione del corso di aggiornamento tecnico per la disciplina della corsa De Luca ha spiegato le sue teorie illustrando la sua metodologia di allenamento supportata da filmati che ne provavano la validità. Lamentava, inoltre, la completa assenza di dati tecnici, di organizzazione e di catalogazione delle esperienze di anni di gestione tecnica. In quel momento pensavo dentro di me: ma in tutti questi anni questi “super tecnici” alla guida della nazionale cosa hanno fatto? Come hanno allenato? Fortunatamente la mia formazione di tecnico dello sport si basa su studi e ricerche compiuti in altri ambiti ed in alte sedi, universitarie e congressuali, che mi hanno permesso di studiare approfonditamente per una formazione seria e indipendente da quanto offerto dai corsi federali che da quasi un decennio mancano di organizzare il corso per allenatore di 3° livello, fermandosi al 2° senza dare la possibilità di conseguire il livello più alto che rimane ad appannaggio di pochi eletti, appunto i “super tecnici”. Concludo, riportando una parte di un articolo del tecnico della nazionale di Pentathlon G. Cardelli (pubblicato sul sito www.comunicascuola.it/ainfo_intervista_1.html ) dal titolo “Non siamo insegnanti di zompi”. “Non siamo insegnanti di zompi” Ritengo che i tecnici, al di là della carica e del posto ricoperti, debbano aggiornasi continuamente e seriamente per essere il più possibile competenti e preparati, disposti a dialogare e a relazionarsi con gli atleti in modo autorevole e non autoritario, disponibili ad apprendere con umiltà da chi ne sa di più per non continuare ad essere considerati solo "insegnanti di zompi". Gianni Caldarone
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