Sport: stato
dell'arte |
E’ indubbio che il mondo
sportivo sta attraversando una crisi di valori, profonda senza precedenti,
iniziata molti anni fa raggiungendo il suo apice in questi ultimi mesi.
Basti pensare al fenomeno dilagante e incontrastato del Doping, cancro
metastatico del mondo sportivo che coinvolge atleti di tutti i livelli;
dilettanti, professionisti, giovani e giovanissimi, ma anche atleti
master, per non parlare del movimento legato al Body Building (se sport si
può chiamare), vero e proprio ricettacolo di farmaci proibiti. Altro tema fondamentale è l’assenza di un valido piano di formazione didattica da parte della dirigenza sportiva. In questi ultimi decenni è da registrare un assoluta latitanza di corsi seri e formativi per tecnici. Giovani atleti sono in mano ad allenatori improvvisati con nessuna nozione di metodologia di allenamento e comunque con requisiti assolutamente insufficienti per prendere in consegna atleti giovani e di valore (http://www.assoallenatori.it/ “obesità nei giovani: un problema nel problema). I risultati di tale decadenza tecnica sono tangibili soprattutto in sport come l’atletica leggera in profonda crisi come tutto lo sport italiano. Non abbagli qualche medaglia vinta; lo sport italiano è malato. Alcuni tecnici ed alcuni atleti fanno miracoli considerando la quantità irrisoria e la bassa qualità dei mezzi che le federazioni mettono a disposizione soprattutto per lo sport di base. I numeri sono a testimonianza di tutto questo, basti dire che aumenta il numero degli abbandoni da parte di giovani dell’attività sportiva e che l’Italia è il paese europeo con più alto tasso di obesità giovanile. Le cause sono da individuare non nella quantità ma nella qualità del cibo e sulla mancanza di attività fisica. ….“L'attività fisica dovrebbe essere garantita naturalmente anche in ambito scolastico ma i dati riguardanti gli investimenti stanziati dal Ministero dell'Istruzione sono sconfortanti. In Francia il ministero stanzia circa 77 euro per l'attività fisica di ogni studente, in Gran Bretagna questo valore cala drasticamente a 14 euro, in Italia, al momento, questa cifra non raggiunge neanche i 50 centesimi di euro. Questo dato, a fronte della statistica che riconosce i bambini italiani come i più obesi d'Europa, è sconfortante…” (www.iims.it/iims/Giovani/obesità_infantile.htm). E, in generale ….” In Italia, 4-5 abitanti su 10 soffrono di sovrappeso o sono obesi, con tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una tendenza all’aumento negli ultimi anni. Il Ministero della Salute è attivamente impegnato nell’azione di contrasto a questa epidemia, sia attraverso l’opera del Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza Alimentare sia per mezzo delle attività progettuali previste per le Regioni dal Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007, coordinato dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM).” Fonte. Ministero della Salute . I dati del rapporto tra popolazione e sport sono deludenti; ciò testimonia l’inadeguatezza di una classe dirigente che non ha saputo proporre e diffondere l’importanza dell’attività fisica, perché compito principale del CONI e quindi delle Federazioni nella loro autonomia è proprio quello di propagandare e promuovere l’attività sportiva non solo a livello agonistico ma per tutte le fasce della popolazione. Secondo l’indagine ISTAT del 2003:…“La pratica delle attività fisico- sportive oggi (dati Istat) Luci ed ombre in sintesi - L’area totale dei cittadini attivi - stimata nel 1999 a circa 36 milioni - si è ridotta nel 2003 a circa 32 milioni e mezzo, mentre l’area della sedentarietà è salita da 19,5 a 23 milioni (sugli abitanti da 3 anni in su). Pratica sportiva in Italia:
l’evoluzione recente (1999-2003) • I dati più recenti sulla pratica
dello sport e dell’attività fisica in Italia pubblicati dall’ISTAT (2003)
indicano due fenomeni paralleli e contrastanti: la pratica sportiva
continuativa, dopo il forte calo dei primi anni ’90, ha ripreso una
tendenza di crescita; contemporaneamente aumenta la sedentarietà, a causa
di un’allarmante riduzione dell’attività fisica diffusa. • Anche i dati dei praticanti
tesserati delle Federazioni e delle Discipline Associate mostrano una
progressiva ripresa, superando lo sbalzo negativo registrato nel
2001. Secondo l’indagine condotta
dalla UE: “…utilizzando un diverso criterio, l’indagine sulle attività
fisiche condotta dalla UE nel 2002 stima addirittura che il 60% degli
italiani esplica un’attività fisica insufficiente per la propria salute.
Tale dato, insieme a quello che vede il 45% della popolazione in
soprappeso di cui più del 10% classificato come obeso, giustifica
ampiamente l’allarme ripetutamente lanciato dal Ministero della Salute.
Inoltre la mancanza dell’esperienza sportiva incide sulle possibilità di
sviluppo educativo e di integrazione sociale, come ha sottolineato l’Anno
Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport appena concluso. (fonte: http://www.coni.it/ ) Le ultime indagini del
ministero della salute avvalorano questi ultimi dati denunciando
addirittura l’allarme obesità e minore attività
fisica nell’intera popolazione soprattutto della fascia giovanile. Per tutti questi motivi
auspico un rinnovo totale della dirigenza sportiva che ha fin qui
determinato l’andamento dello sport in Italia e ha creato un gap incolmabile di
incomunicabilità tra esigenze degli atleti e sportivi in genere e
le Federazioni incapaci di cogliere i bisogni e le urgenze dei loro stessi
utenti. Ho lasciato per ultima
l’analisi sui tecnici perché penso che questa sia la figura più
direttamente responsabile di quanto sta avvenendo oggi nello sport.
Il tecnico ha un ruolo
complesso e difficile. Incarna, a livello federale un doppio ruolo perché
rappresenta il punto d’incontro tra la classe dirigente (consiglio
federale) e gli atleti. Necessita di una preparazione approfondita in
molteplici campi; tecnico, psicologico, umano, dialettico, fisico.
Rappresenta il “trait d'union” tra le
esigenze e le aspettative (umane e tecniche) dell’atleta e le necessità
della Federazione. Le sue valutazioni devono essere corrette, le sue
analisi necessitano di precisione, i suoi giudizi esatti, le
sue scelte opportune. Tutto queste attività hanno l’obbligo di
essere esenti da qualsiasi forma di distinzione, parzialità, abuso,
ingiustizia ed arbitrarietà. L’allenatore deve essere “super partes”, al di sopra
di ogni gioco politico e di potere operando per gli atleti e con gli
atleti. Solo così avrà la stima di questi che impareranno a rispettarlo
per la sua autorevolezza. Parlando con la Federazione deve far in modo di
mettere gli atleti nelle condizioni migliori per allenarsi e far
valere le sue scelte a scapito di biechi giochi di potere. Solo in questo
modo potrà avere la fiducia degli atleti. Stima, rispetto e
fiducia sono le componenti per un lavoro proficuo e duraturo nel
tempo. Ma se queste vengono a mancare lo stesso allenatore deve chiedersi
“…dove ho sbagliato?”, analizzare i propri errori, cercare di
correggerli dandosi un “tempo di transizione” per riparare agli errori ed
instaurare un rapporto con i propri atleti che abbia i presupposti
sopraelencati; se non riesce deve avere il coraggio e l’intelligenza di
dimettersi dall’incarico per non arrecare ulteriori danni all’ambiente e
all’atleta, facendo tesoro dell’esperienza fatta per crescere,
migliorarsi e riprovare in futuro…se ce ne sarà l’occasione.
Deve essere una persona
capace e virtuosa perché ha il compito di infondere ai propri atleti
i valori di lealtà e correttezza come valori non solo sportivi ma
della vita. Ed è per questo che la sua funzione di allenatore non
può prescindere dall’attività di educatore in ogni fascia di età. Per i
giovanissimi avrà una funzione altamente
pedagogica, per i giovani una responsabilità più incentrata a far
capire e condividere i
valori etici e morali dello sport, per gli atleti evoluti un
rapporto fondato sulla stima e sulla fiducia reciproca per
raggiungere importanti
obiettivi sportivi ed umani come ad esempio la lotta al
doping. Se tutti gli allenatori
fossero preparati adeguatamente, non solo sul piano tecnico, e avessero
chiaro il proprio ruolo e la capacità di attuare questo
rapporto di feedback con i propri atleti, oggi lo sport
avrebbe una valenza più virtuosa di quella odierna perché ogni atleta
prenderebbe autocoscienza dell’importanza di fare sport per la vita e non
per vincere con ogni mezzo. Il problema del Doping sarebbe arginato in un
istante perché un atleta consapevole disapproverebbe qualsiasi pratica
illecita. Viene da sé che il problema primario è di
tipo culturale; una cultura che deve essere diffusa dalla scuola,
dal CONI, dalle Federazioni, dall’allenatore per fornire all’atleta
tutti gli elementi necessari per capire, riflettere, ragionare. Vorrei affrontare e sviluppare
in maniera più specifica il problema del rapporto
Allenatore-Atleta. L’atleta pretende giustamente rispetto e
considerazione da parte della Federazione, della società di appartenenza e
dell’allenatore e proprio per questo non desidera essere escluso
dalla gestione dell’attività sportiva che lo riguarda. Questa necessità di
dialogare e pianificare insieme pone spesso non pochi
problemi di comunicazione fra l’atleta e l’allenatore non correttamente
preparato. che tende spesso a non considerare le esigenze dettate
dall’evoluzione emotiva e cognitiva del giovane agonista per focalizzare
la sua attenzione solo sugli aspetti di sviluppo motorio e di rendimento
agonistico finale. Sotto questa ottica si rivelano di grande utilità
incontri di gruppo fra atleti e allenatore, allenatore e dirigenti, atleti
con qualche problema di dialogo fra loro stessi.
Inoltre che per quanto riguarda
gli allenatori di estrema attualità ed utilità risultano essere i Corsi di
formazione sulla Psicologia dello Sport e sulla Psicologia dell'infortunio
e della riabilitazione: questi corsi permettono agli addetti ai lavori di
apprendere delle conoscenze sul modo di pensare e di sentire degli atleti,
soprattutto per quanto riguarda gli atleti infortunati. Dalle numerose letture e dalle
continue riflessioni fatte ricercando sempre nuove tematiche da affrontare
e sviluppare vorrei approfonditamente il tema sulla “figura
dell’allenatore”. E’ opinione diffusa che
l’allenatore si debba occupare unicamente degli aspetti atletici, tecnici
e strategici, dell’attività agonistica degli. Ma dovremmo comprendere, una
volta per tutte, che il suo ruolo gli conferisce uno status di “leader”
nei confronti del team affidatogli, così come nei confronti di ogni
componente che segue (o dovrebbe….sarebbe auspicabile) individualmente non
nel solo aspetto tecnico, tattico e atletico. Egli si pone in
relazione con ogni atleta del proprio team e, quindi, bisogna porre
l’attenzione a come l’allenatore possa divenire per molti giovani allievi,
un punto di riferimento,
un modello e motivo di identificazione. Sempre più
frequentemente sulle pagine della letteratura specializzata si legge che
sul piano psicologico l'allenatore tende ad essere identificato a
guisa di “sostituto edipico”. Conosciamo tutti, la difficile e complessa
questione edipica e fin dall’adolescenza, quando i ragazzi iniziano una
qualsiasi pratica sportiva, riportano nel rapporto con gli altri del
gruppo e all’allenatore le proprie vicende, eventuali problemi e
persino numerose dinamiche familiari ancora irrisolte. Sono molti gli
psicologi sportivi che studiano l’argomento convinti che l’atleta riviva i
propri conflitti personali specificatamente nell’ambiente agonistico (o
sportivo) e nei suoi rapporti con gli altri componenti della propria
squadra. In questa chiave di lettura, l’allenatore può essere vissuto
interiormente dall’atleta persino come sostituto delle figure dei
genitori. Se ci può risultare comprensibile e così accettare la ragione
per cui a volte l’allenatore sostituisca l’autorità paterna
nel momento agonistico/sportivo, dobbiamo riflettere sulla sua capacità di
trasmettere in modo corretto e positivo quel senso di protezione che
l’atleta desidera (analogia psicologica ed interiore, con la figura
materna/paterna). Si comprende perciò che l'attività sportiva
unita alla figura dell' allenatore, può essere anche un elemento “mediante” tra sistema
familiare e gruppo; questa eventuale mediazione, può determinare
difficoltà per l’allenatore che per assolvere il proprio compito diventa
“punto d’incontro” tra le figure familiari (autorità e affettività) e
l’intera sfera sociale in cui si relazione il ragazzo-atleta. Per cui
spesso l'attività sportiva, con tutto ciò che ne consegue e gli obiettivi
agonistici raggiunti o ricercati sotto le direttive dell'allenatore,
possono diventare metodi di prevenzione
nei contesti socialmente ed affettivamente svantaggiati (i due
fattori spesso si sommano); se tale fattore viene ignorato o
trascurato può dar luogo a comportamenti di “devianza” nel più ampio
contesto sociale di appartenenza che si traducono in difficoltà
relazionali. Premesso questo viene da chiedersi se l’attività
sportiva può avere un valore altamente formativo ed educativo, e se
l’allenatore oltre a rivestire un ruolo educativo per l’atleta, può
diventare anche il mediatore tra l’istinto ribelle e la ricerca di un
modello. Possiamo sostenere che sicuramente la figura dell’allenatore
rappresenta per il giovane che si fida di lui, la figura
adulta che “sente” più vicino alle sue passioni e per il raggiungimento
dei suoi
obiettivi.
Quali sono le difficoltà che si prospettano per l'allenatore?
Sarebbe utile da parte di un allenatore consapevole, porsi frequentemente
questa domanda per cercare sempre delle soluzioni all’altezza di questo
ruolo, conferitogli inconsciamente dai propri atleti. Ma troppo spesso
viene riscontrata una spiccata incapacità da parte degli allenatori di
comunicare con gli atleti, e l'atteggiamento che si adotta è purtroppo il
più delle volte “autocratico” e fortemente autoritario, dove l'allenatore
nella non consapevolezza del ruolo ricoperto, non é disposto a sprecare
del tempo per chiedere pareri ai ragazzi, o considerare i loro eventuali
consigli o intuizioni tecnico/tattiche. Inoltre sovente tendono a
sopravvalutare il lato tecnico non preoccupandosi di adoperarsi per una
“educazione sportiva” corretta mostrando poca sensibilità e molta
superficialità nei confronti delle complesse e numerose
problematiche giovanili ma anche dell’atleta evoluto reputandole futili e
non importanti. In questo modo, tralasciando la componente
umano/affettiva dimostra inadeguatezza per il suo difficile ruolo
professionale e, solitamente, il risultato è un rapporto di sfiducia con i
propri atleti dove manca la comunicazione e quindi l’aspetto fondamentale
del reciproco scambio.
Così, l’allenatore viene considerato dai suoi stessi atleti come un
elemento di notevole ed ulteriore stress, perché basa la loro attività
esclusivamente sul rendimento fisico - atletico o ancor peggio, sul
rendimento indotto e prodotto da un atteggiamento estremamente
autoritario. In questi casi si legge nei questionari degli atleti che il
comportamento dell’allenatore viene percepito come molto distaccato o
superiore, incurante di quelle che sono le loro aspettative e i loro
bisogni. L’eccessiva “distanza empatica” dai suoi
atleti ostacola una serena comunicazione. Trovarsi a dover gestire
una situazione così complessa, in questo modo strutturata e sensibile
a moltissime variabili è quanto mai difficile consapevoli che tale
condotta autoritaria può produrre atteggiamenti indesiderati ed ostili.
Per questo bisognerebbe essere in grado di instaurare un “equilibrio
dinamico” con tutti i soggetti della squadra e diventa necessario da parte
dell' allenatore possedere adeguate qualità umane, capacità psicologiche,
abilità metodologiche, tecniche e organizzative. L’insieme di queste
virtù da determinano la nascita di nuovi confini d’azione rendendo
possibile esplorare orizzonti nuovi e stimolanti, arrivando a poter
aiutare e prevenire problematiche di relazione con la famiglia e con
il gruppo. Compiti e mansioni dell’allenatore si svolgono in un ambiente
difficile e molto stressante caratterizzato dalle frequenti interferenze e
pressioni dei dirigenti, dai rapporti delle famiglie con i
ragazzi/atleti, da eventuali problemi disciplinari e comportamentali che
possono sorgere all' interno dell’associazione sportiva di appartenenza e
del team. Si legge nei numerosi studi e ricerche con questi temi,
oltre alle indagini e osservazioni condotte al riguardo, che sono stati
individuati alcuni comportamenti che possono contribuire all' insorgere
della perdita motivazionale da ambo le parti. Ad esempio il voler essere
troppo perfezionista e non tollerare eventuali errori dei ragazzi, o
la totale mancanza di ottimismo, o mostrare loro di essere costantemente
insoddisfatti. Ma anche farsi assorbire troppo dall'attività agonistica e
giudicare il proprio e l’altrui lavoro solo dal risultato di gara,
può portare al deterioramento del rapporto. E’ stato rilevato un più alto
livello di perdita motivazionale negli atleti praticanti sport individuali
che non in quelli di squadra e sembra che la causa più importante nel
determinare ciò sia proprio l'incapacità di instaurare e sviluppare
un adeguato e sereno rapporto allenatore/atleti,
allenatore/dirigenti. La persona preposta a mediare per attuare un
rapporto sinergico tra le diverse figure del mondo sportivo è quella
dell’allenatore. Stando a queste indagini si evince facilmente che la
mansione di allenatore deve essere intrapresa possibilmente (e sarebbe
auspicabile) da soggetti
positivi ed estroversi che, proprio per questa virtù
caratteriale, possono resistere meglio allo stress ed alle frustrazioni
derivate dagli inevitabili e possibili insuccessi di percorso. Ma non
dobbiamo dimenticare che l’allenatore ha anche il delicato ed
importantissimo compito di sostenere l’atleta nei momenti di maggiore
sconforto e difficoltà, fisica e psicologica. Deve essere in grado di
prevenire con il suo importantissimo supporto soprattutto la possibile
perdita motivazionale da parte degli atleti di ogni livello. E’ largamente
stabilito dalla letteratura che gli atleti, durante la propria attività
agonistica, sono continuamente sottoposti a molteplici fattori di stress,
come l'incertezza del risultato, la paura del fallimento, il timore di non
riuscire a sostenere le aspettative e quindi di non dare il meglio di sé
nella gara. L'allenatore dovrebbe affrontare le inevitabili e ricorrenti
richieste (molte volte implicite perché non espresse) degli atleti,
sviluppando ed arricchendo soprattutto, la capacità di esprimersi e
comunicare adeguatamente le proprie intenzioni e i propri convincimenti,
proponendo agli atleti specifiche e periodiche riunioni per ascoltarli e
prestare attenzione alle loro problematiche. Questo servirebbe molto per
allentare e prevenire tensioni ed incomprensione che
potrebbero insorgere fra gli atleti e l’allenatore o tra i componenti
della stessa squadra. Una gestione non adeguatamente attenta e sensibile a
queste problematiche, con scarsa ascolto o con atteggiamenti
eccessivamente aggressivi ed invasivi da parte di chi è preposto alla
guida, all’organizzazione dell’allenamento e di tutte le altre
attività connesse determina, senza ombra di dubbio,
incomunicabilità, ansia, conflittualità. E’ ormai accertato che è dovere
di qualsiasi allenatore essere tecnicamente preparato e aggiornato
costantemente, ma è necessario ancora ricordare che
deve anche acquisire piena consapevolezza del suo ruolo per
impostare con sicurezza e autorevolezza il suo programma di allenamento le
cui basi si devono fondare, prima, sulle esigenze umane e poi sull'
obiettivo finale della vittoria. Il gruppo e
l’allenatore. Un gruppo di atleti di qualsiasi livello è un
insieme di individui all'interno del quale le abilità dei singoli vengono
esaltate dall'interazione reciproca, con obiettivi comuni. La squadra crea
relazioni interpersonali tra gli atleti che, spesso, risultano più valide,
solide ed esclusive di quelle che esse mantengono con persone che
frequentano fuori dai campi di allenamento. E’ questa la forza di coesione
tra le persone del gruppo e tiene vive le motivazioni e le aspettative dei
singoli nei confronti dell’intero gruppo. All'interno di tale realtà, in
continua interazione, assume particolare importanza il leader
ovvero colui che necessita di una personalità carismatica in grado di
soddisfare le esigenze affettive e operative della maggioranza dei membri.
E’ indiscusso che la leadership del gruppo appartenga all’ALLENATORE la cui figura non
sempre positiva ed all’altezza, si può definire anche secondo i diversi
comportamenti che
utilizza: La comunicazione tra
allenatore ed atleta . Da quanto esposto si evince che alla base di tutto
c’e’ il tipo di comunicazione che si instaura fra i due, perché la
comunicazione è alla base di qualsiasi rapporto, è impossibile non
comunicare, anche il silenzio ci comunica qualcosa: il consenso, la
volontà di non comunicare, etc. Comunicare significa trasmettere
delle informazioni e riceverle; far conoscere e conoscere; mettere in
comune con gli altri ciò che è nostro; influenzare, agire sugli altri ed
esserne influenzati. La comunicazione avviene attraverso i nostri
comportamenti quando interagiamo con le altre persone, quindi qualsiasi
comportamento è comunicazione. La comunicazione può essere
considerata da tre punti di vista: 1) Il contesto in
cui avviene la (spazio e tempo in cui si verifica, sistema sociale di
riferimento); 2) Il contenuto (argomento di
discussione, ciò su cui verte la comunicazione); 3) La relazione (rapporto che
si definisce tra interlocutori). Da numerosi studi fatti per
indagare le qualità di un allenatore efficace emerge come l'essere autoritario
comprometta la relazione con gli atleti. Abbiamo visto che la relazione
comunicata può svincolarsi dal contenuto espresso, infatti un allenatore autorevole
(diverso da autoritario) garantisce la chiarezza del contesto e della
relazione attraverso regole precise ma lascia ampio spazio ai contenuti e
quindi alla possibilità per l'atleta di esprimere la propria originalità,
le proprie proposte e critiche aumentando, in questo modo, l'autostima
dell'atleta e creando una condizione di lavoro, di collaborazione positiva
(concetto di flessibilità nei contenuti e fermezza nella relazione). Oltre
a ciò risulta importante il messaggio di relazione anche per comprendere
meglio il contenuto. IL CODICE D’ONORE
DEGLI ALLENATORI Ho parlato fin qui del ruolo
dell’allenatore e di alcune importanti tematiche ad esso connesse. Ma
quanto detto trova le fondamenta nel codice etico a cui
l’allenatore deve attenersi fedelmente come piattaforma di ogni suo
pensiero e decisione. Se viene a mancare il cardine su cui origina la
scintilla che determina comportamenti etici e virtuosi, nulla di quanto
accade potrà avere “valore
sportivo”. Riporto di seguito alcuni dei CODICI ETICI e delle regole
morali espresse nelle “buone intenzioni” di qualsiasi sport a cui
tutti gli allenatori dovrebbero attenersi, a prescindere dal ruolo
federale che si ricopre, della Federazione alla quale si appartiene
e dal livello degli atleti che si allena. Sono del parere che tutti gli
allenatori (o se preferite…”tecnici”) hanno l’obbligo di attenersi ad un
codice morale corretto e trasparente che rifletta fedelmente i
valori su cui si fonda lo sport; solo seguendo questi principi
responsabili si può operare per il bene degli atleti. Si tratta di un
canone di doveri che gli allenatori si impongono e costituisce un’etica
professionale espressa con parole, sviluppatasi sulla scorta di
tradizioni, perseguita con onestà e determinata secondo coscienza. Il
codice d’onore è la base morale, continuamente da verificare in stretta
considerazione della dignità dell’uomo, su cui poggia la deontologia
professionale autodeterminata della nostra comunità liberale
-democratica. Esso è un elemento essenziale dello sviluppo di una cultura
professionale che si sente in obbligo verso la prestazione
umana e verso quello che è la premessa umana. Il codice d’onore contiene
orientamenti, fondati su norme e valori, per ciò che concerne il modo di
pensare e di agire nell’ambito dell’allenamento e della competizione. Si
tratta di orientamenti sostanzialmente in linea con uno sport di alto
livello che sia “umano”, con il bene di bambini ed adolescenti, con
l’atleta emancipato. I doveri che ne conseguono poggiano sulla
convinzione che prestazione ed umanità, vittoria e morale, successo e
felicità personale non solo devono essere compatibili, ma si condizionano
reciprocamente. Ciò significa che gli incrementi di prestazione da
raggiungere con l’allenamento devono essere perseguiti alle regole vigenti
e rispettando il precetto della realtà. Vale infatti il principio: IN
ALLENAMENTO ED IN GARA HA SEMPRE PRIORITA’ LA DIGNITA’ DELL’UOMO. Sulla
base di questo dettato assume una particolare importanza la responsabilità
pedagogica, intesa nel senso di un’educazione alla prestazione, che
allenatori ed allenatrici hanno nei confronti degli atleti loro
affidati e specialmente nei confronti dei bambini e degli
adolescenti. Il codice d’onore con i suoi doveri e le sue responsabilità
non riguarda solo il rapporto degli allenatori con i loro atleti, bensì
anche il loro rapporto di reciprocità con i genitori, responsabili dei
propri figli, e con le altre persone coinvolte nell’attività sportiva,
come medici, dirigenti, spettatori e rappresentanti del settore
dell’informazione dell’economia e della politica. Il Codice d’onore
parte dal presupposto dell’autodeterminazione della categoria
professionale degli allenatori, perciò offre anche un importante
contributo affinché gli allenatori sviluppino un’immagine di sé positiva.
CODICE D’ONORE TEDESCO. Dopo gli
anni che videro gli scandali sportivi della Germania dell’Est e dopo la
caduta del muro di Berlino, la Germania volle ripartire da zero per
avviare un “rinascimento” del mondo sportivo, partendo dalla
regolamentazione etica dell’allenatore che negli anni passati aveva, con
metodiche antisportive e pratiche illecite , annichilito e abusato della
figura dell’atleta. 1. Allenatori ed allenatrici
rispettano la dignità degli atleti e delle atlete, i quali vengono
trattati con equità e lealtà indipendentemente da età, sesso,
provenienza sociale, ed etnica, ideologia, religione, opinione
politica o condizione economica. 2. Allenatori ed allenatrici
s’impegnano ad armonizzare le esigenze sportive in allenamento ed in
gara con carichi proveniente dall’ambiente sociale, ed in particolare da
quello familiare, scolastico,di studio e lavorativo 3. Allenatori ed allenatrici
s’impegnano a agire in modo responsabile sotto il profilo pedagogico: a)
trasmettono ai loro atleti tutte le informazioni rilevanti per consentir
loro di sviluppare ed ottimizzare la propria prestazione – b)
coinvolgono gli atleti nelle decisioni che li riguardano personalmente –
c) nell’allenamento dei minorenni prendono in considerazione gli
interessi dei genitori – d) promuovono l’autodeterminazione dei loro
atleti – e) in caso di conflitti s’impegnano a trovare soluzioni aperte,
giuste ed umane – f) non usano violenza di nessun genere contro i loro
atleti – g) educano gli atleti all’autoresponsabilità e
all’autonomia, anche in vista del loro avvenire 4. Allenatori ed allenatrici
educano i loro atleti ad avere: a) un comportamento
socialmente positivo all’interno della comunità di allenamento
– b) un comportamento leale in competizione ed al di fuori di essa
ed il necessario rispetto nei confronti di tutte le altre persone e gli
animali coinvolti nell’attività sportiva – c) un rapporto responsabile con
la natura e con l’ambiente in cui vivono 5. L’interesse degli atleti,
la loro salute, il loro benessere e la loro felicità stanno al
di sopra degli interessi e degli obbiettivi di riuscita degli
allenatori o delle organizzazioni sportive. Tutti gli interventi che
vengono attuati in allenamento devono essere consoni all’età,
all’esperienza ed attuale stato psico-fisico degli atleti 6. Allenatori ed allenatrici
s’impegnano ad impedire l’uso di mezzi vietati (doping) ed a prevenire il
pericolo di assuefazione a stupefacenti. CODICE D’ONORE DEGLI ALLENATORI
DELLA SWISS
FOOTBALL
LEAGUE 1.Io rispetto la dignità degli
sportivi e tratto tutti in modo uguale e leale indipendentemente dall'età,
dal sesso, dalla provenienza sociale ed etnica, dalla visione del mondo,
dalla religione, dalla convinzione politica e dalla situazione
economica. 2. Io m'impegno a creare un'atmosfera e un ambiente piacevoli dove il giovane sportivo si sente a suo agio e dove può muoversi liberamente. 3. Io mi distanzio da tutte le forme di azione e trattamento che potrebbero ferire e umiliare lo sportivo nella sua dignità. Io rispetto la sfera privata dello sportivo, in modo particolare basandomi sugli obiettivi fissati assieme allo sportivo favorendo quindi la sua autodeterminazione e autoresponsabilità. 4. Io rispetto i limiti fisici ed emozionali dello sportivo e mi distanzio da qualsiasi forma di abuso fisico ed emozionale. Mi sembra opportuno riportare il "codice d'onore" degli allenatori, che operano in una società di pallacanestro italiana: espressione di un'etica professionale che si fonda sul principio della responsabilità che ha l'allenatore verso il benessere degli atleti. E’ importante notare il ruolo dell’allenatore :“trade union” non solo per l’atleta, ma anche per il rapporto allenatore - genitore e allenatore – dirigente NOI ALLENATORI,
consapevoli che il nostro comportamento contribuisce a mantenere alto il
valore dello sport attraverso il team che alleniamo, riconosciamo nostra
personale responsabilità impegnarci a: • Promuovere lo sport
attraverso il nostro comportamento etico, rispettoso delle leggi e delle
regole, proteggendo l’immagine dello sport e contribuendo a diffonderne i
valori e l’integrità tra i giovani e, tra loro, ai più svantaggiati. • Evitare atteggiamenti
vessatori o esasperatamente punitivi nei confronti degli atleti, degli
allenatori e dei collaboratori • Evitare comportamenti
tendenti all’esclusione sistematica, all’offesa fisica o mentale di atleti
che vengono sotto utilizzati e danneggiati creando frustrazioni e tensioni
scaricabili in maniera negativa verso compagni, dirigenti, avversari e
direttori di gara. • Evitare ogni forma di
discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, stati civili ed
orientamenti sessuali. CONCLUSIONI E RIFLESSIONI
Lo sport, dunque, può essere una
splendida occasione che gli uomini hanno per avvicinarsi, comunicare fra
loro al di là di ogni differenza individuale e di razza. La speranza è che l’educazione
sportiva si apra al maggior numero di culture, affinché, tutte le gioventù
possano vincere campanilismi, nazionalismi e razzismi.
Ma quando lo sport
professionistico si lascia vincolare dai criteri di produttività e di
interesse economico, non rispettando etica
e moralità si svuota di ogni valore culturale. CONFERENZA NAZIONALE SULLO
SPORT - relazione introduttiva dell’on. Giovanna Melandri, Ministro per i
Beni e le Attività Culturali - Roma, 19 Dicembre 2000: “Il
barone de Coubertin, a proposito di etica dello sport, sosteneva che i
principi, costituiscono in germe la base e il punto di partenza di ogni
ordinamento democratico nazionale. Proprio
per questo alcuni limiti non devono mai essere
superati. “ Gianni Caldarone |