Sport: stato dell'arte

 E’ indubbio che il mondo sportivo sta attraversando una crisi di valori, profonda senza precedenti, iniziata molti anni fa raggiungendo il suo apice in questi ultimi mesi. Basti pensare al fenomeno dilagante e incontrastato del Doping, cancro metastatico del mondo sportivo che coinvolge atleti di tutti i livelli; dilettanti, professionisti, giovani e giovanissimi, ma anche atleti master, per non parlare del movimento legato al Body Building (se sport si può chiamare), vero e proprio ricettacolo di farmaci proibiti.
Il recente scandalo del calcio è un altro fatto che concorre in modo determinante al declino del valore etico, morale ed educativo dello Sport. Nello stomachevole minestrone preparato dal mondo professionistico sportivo e presentato alla mensa di tutto lo sport italiano come “pietanza alla calciopoli”, si trovano tutti gli ingredienti: falsificazioni, raggiri, inganni, imbrogli, intrighi, maneggi illeciti, truffe, pratiche furbesche, intimidazioni, clientelismo. L’intera portata interamente preparata con metodiche mafiose e accompagnata da una volgarità sconcertante. Un minestrone veramente troppo condito…decisamente nauseante e non all’altezza della nostra famosa “cucina mediterranea”.
Questi avvenimenti conosciuti da sempre e portati all’attenzione del pubblico a causa delle vicende sportive di questi ultimi tempi, rappresentano solo la punta di un iceberg che nasconde nel sottobosco sportivo ogni tipo di angherie, atti disonesti e sleali che da sempre si perpetrano nello sport. L’uso di questo sistema immorale che contempla violazioni di qualsiasi genere, si deve attribuire ad ogni categoria del mondo sportivo, nessuno escluso, perché queste licenziosità sono praticate indistintamente dai dirigenti, dagli allenatori e dagli stessi atleti.
Proviamo ad analizzare singolarmente e più dettagliatamente gli effetti negativi che le categorie appena menzionate con le loro azioni illecite producono al mondo dello sport e alla società.

Gli atleti sono chiamati in causa principalmente per la pratica del doping; a discapito della propria salute sono disposti a ricorrere a pratiche illecite al fine di primeggiare nelle gare per inseguire a tutti i costi il desiderio di affermazione e coronare il sogno di successo. Le problematiche che si aprono come conseguenza di tali azioni sono molteplici e complesse perché l’uso di sostanze vietate, e più in generale di comportamenti scorretti di qualsiasi genere (una scorrettezza durante una gara, una gestualità inappropriata o la combine di un evento), non investono solo chi le commette ma concorrono in modo determinante a screditare l’intero movimento dello sport e con esso tutti i valori di cui si fa promotore.
L’atleta era considerato da sempre sinonimo di lealtà, correttezza, sacrificio e dedizione, incarnazione di un modello a cui aspirare, perché esempio tangibile di moralità ed onestà, campione di rettitudine e simbolo di virtù. Una figura integerrima a cui ispirarsi accompagnata, inoltre, da qualità fisiche eccezionali come forza, agilità, destrezza, grazia ed armonia, caratteristiche comuni ad ogni campione. Purtroppo, col tempo, i molteplici episodi negativi avvenuti nel mondo sportivo hanno oscurato notevolmente l’alone luminoso che avvolgeva la figura dell’atleta nell’immaginario comune. La parabola discendente della figura del campione ha subito in questi ultimi due decenni una brusca verticalizzazione, precipitando verso sfere molto meno nobili a causa dei continui scandali di cui gli atleti (ed il  mondo dello sport) sono i primi attori. Con il trascorrere degli anni ed il susseguirsi di questi scandali è venuta sempre meno la credibilità di quel modello di “uomo virtuoso” che dallo sport si voleva esportare come esempio per il cittadino comune che opera nella vita di tutti i giorni; in definitiva, la fine di un ideale di speranza per una società migliore, più giusta ed onesta, dove l’effettivo valore di un individuo venga apprezzato e premiato. Non capita di rado, anzi direi molto frequentemente, che oggi qualsiasi vittoria, primato o impresa venga messa in discussione perché sospettata sistematicamente di illecito sportivo. Da qui le domande, peraltro pertinenti e giustificate dai fatti: “che sostanza avrà usato?”,o “che accordi avranno preso?...cosa ci sarà sotto?”. Da tutto questo si evince, che la credibilità dello sport ha subito un duro colpo, mettendo in ginocchio l’intero movimento che a mio avviso potrà risorgere solo a patto di un rinnovo radicale delle regole e della classe dirigente che oggi è alla guida dello Sport.

Altro aspetto fondamentale sono i valori, soprattutto educativi che l’atleta, con le sue azioni scorrette ed illecite, trasmette alla società ed in particolare modo ai giovani. Così, il calciatore violento ma di successo insegna che con la brutalità si ottengono risultati considerati importanti al giorno d’oggi come fama e popolarità; lo sprinter famoso e muscoloso che vincerà con l’uso di sostante proibite comunicherà ai giovani che l’uso di anabolizzanti è giustificato se come contropartita si ottengono soldi e trionfi. In questo contesto la scala dei valori viene irrimediabilmente sovvertita ed assoggettata ad interessi di ogni genere da perseguire con pratiche illecite. Per cui gli assiomi vittoria =  successo e successo = ricchezza, rappresentano l’eldorado che oggi, molti atleti inseguono e di riflesso sono l’esempio per la maggior parte dei giovani che pensa che il fine giustifica i mezzi…qualsiasi mezzo. Per questo la crisi dei valori è oggi quanto mai attuale perché il mondo sportivo con i suoi fatti non è altro che un esempio significativo e non trascurabile di una società che considera l’inganno come necessario se con esso si può più facilmente raggiungere la meta. E’ fondamentale che i campioni dello sport, e gli atleti in generale, comprendano che le loro gesta sono imitate dalla gente comune e ancor più dai ragazzi molto più disposti all’emulazione. Così, i personaggi più in vista del panorama sportivo hanno l’obbligo di riflettere tenendo a mente le premesse per comprendere il loro ruolo educativo nei confronti della  gente; il calciatore che userà metodi  violenti ma che non sanzionato andrà in goal sarà un pessimo esempio per tutti, come lo sarà il ciclista “dopato” che pedalando a 40 Km orari su una salita taglierà primo il traguardo. Ambedue saranno cattivi esempi che saranno imitati se non sanzionati con pene adeguate alla gravità delle loro azioni, atte a vanificare qualsiasi carriera sportive, anche di successo, che si sia  macchiata di tali comportamenti antisportivi. Il fardello del campione si appesantisce ancora di più  se consideriamo che quando assume sostanze “dopanti” è direttamente responsabile della salute di migliaia di persone che penseranno di raggiungere risultati sportivi rilevanti grazie all’ausilio di farmaci illeciti. Sono ormai largamente documentati dalla letteratura scientifica gli effetti devastanti sul corpo umano a breve, medio e lungo termine, conseguenti l’uso dei farmaci dopanti.
Le molteplici tematiche affrontate, doping, comportamenti scorretti, credibilità, valori, esempio, ruolo educativo, salute, di cui l’atleta si deve far necessariamente promotore e divulgatore, devono essere considerate non indipendenti tra loro ma, al contrario, l’una legata all’altra, concatenate dal filo conduttore di un rinnovo sportivo etico e morale, monito per una rinascita di quei valori che sono stati decisamente sovvertiti dall’esigenza di affermazione personale incondizionata.

Anche la classe dirigente dello Sport ha avuto un ruolo fondamentale per il processo di decadenza dei valori. Se è vero che l’atleta è il contatto più diretto e tangibile che le persone avvertono con il  mondo sportivo, la dirigenza ha il compito di stabilire le regole e di fatto legifera e regola il mondo dello sport. Di fatto è la parte politica dello sport,  anche se a mio avviso sport e politica dovrebbero essere antitetiche e completamente estranee tra loro, ma questa è utopia. Quel che accade nelle sedi istituzionali della politica avviene allo stesso modo nelle stanze di qualunque consiglio federale dove sono all’ordine del giorno giochi di potere che nulla hanno a che vedere con il significato della parola  “sport”. Le tematiche trattate per gli atleti non differiscono di  molto nel  ragionamento che coinvolge la dirigenza.
Qui, i comportamenti scorretti non si riscontrano più sul campo ma, più subdolamente nelle sedi amministrative, manifestandosi con scambi di voti, imbrogli, falsificazioni, formazione di cordate a favore di una o l’altra corrente politica che di fatto impediscono un vero lavoro di equipe, dividendo le federazioni in tanti piccoli gruppi faziosi tra loro, intese e complotti sottobanco che rendono le sedi direttive per lo sport veri e propri gineprai dove, di fatto, è impossibile lavorare per lo sport. Sembra un paradosso ma è così. Le notizie più eclatanti di questo sistema di conduzione clientelare sono riportate quasi quotidianamente sui giornali; ma molto di quel che succede nell’anonimato non verrà  mai saputo. Ma un dato è certo: questi giochi di potere  deviano da quei valori di cui lo sport era originariamente intriso e distolgono dal lavoro che i dirigenti sportivi dovrebbero svolgere per far osservare le regole ai propri tesserati, arginare il fenomeno del doping, correggere e sanzionare in modo adeguato qualsiasi comportamento scorretto, diffondere i giusti valori per educare al comportamento sportivo e, più in generale alla vita in ogni suo aspetto, pensare alla salute dei propri atleti. Per queste ragioni il ruolo istituzionale dello sport deve necessariamente essere subordinato al momento sportivo e non l’inverso come purtroppo oggi accade. Ed allora ecco un altro compito fondamentale comune agli atleti e di cui la dirigenza sportiva dovrebbe essere investita: essere un esempio, questa  volta da indirizzare a due destinatari; alla società come modello di imitazione per gli alti valori etici ed educativi che dovrebbe amministrare e promuovere; agli stessi atleti che dovrebbero rispettare il ruolo dirigenziale unicamente per la duplice funzione che dovrebbe ricoprire: protezione e tutela della loro attività sportiva e come organo integerrimo che faccia rispettare regole chiare e trasparenti sanzionando in modo assolutamente non arbitrario chi le trasgredisce. Ma è da prendere atto che fino ad oggi la classe dirigente sportiva ha fallito in queste che dovrebbero essere tappe obbligate ed imprescindibili del movimento sportivo. Si è voluto erroneamente seguire la strada politica e dell’autoritarismo non perseguendo invece la via dell’autorevolezza fondata sulla stima degli atleti e non sul loro assoggettamento. Altra testimonianza di degrado è il fenomeno del Doping, dilagante in ogni suo aspetto, mai fronteggiato in maniera appropriata dalla dirigenza che con le regole e le metodiche adottate fino ad oggi non risolverà mai. La risonanza sociale di tale diffusione farmacologica ed incontrollata da parte degli atleti ha avuto effetti devastanti sulla salute degli sportivi di ogni categoria, professionisti, dilettanti, amatori e l’inadeguatezza della lotta a tale fenomeno è diventata una vera propria piaga sociale, tuttora in espansione,  a cui la dirigenza sportiva dovrà un giorno rispondere per aver, se non permesso, sicuramente tollerato tale pratica.

Altro tema fondamentale è l’assenza di un valido piano di formazione didattica da parte della dirigenza sportiva. In questi ultimi decenni è da registrare un assoluta latitanza di corsi seri e formativi per tecnici. Giovani atleti sono in mano ad allenatori improvvisati con nessuna nozione di metodologia di allenamento e comunque con requisiti assolutamente insufficienti per prendere in  consegna atleti giovani e di valore (http://www.assoallenatori.it/ “obesità  nei giovani: un problema nel problema). I risultati di tale decadenza tecnica sono tangibili soprattutto in sport come l’atletica leggera in profonda crisi come tutto lo  sport italiano. Non abbagli qualche medaglia vinta; lo sport italiano è malato. Alcuni tecnici ed alcuni atleti fanno miracoli considerando la quantità irrisoria e la bassa qualità dei mezzi che le federazioni mettono a disposizione soprattutto per lo sport di  base. I numeri sono a testimonianza di tutto questo, basti  dire che aumenta il  numero degli abbandoni da parte di giovani dell’attività  sportiva e che l’Italia è il paese europeo con più alto tasso di obesità giovanile. Le cause sono da individuare non nella quantità ma nella qualità  del cibo e sulla mancanza di  attività fisica. ….“L'attività fisica dovrebbe essere garantita naturalmente anche in ambito scolastico ma i dati riguardanti gli investimenti stanziati dal Ministero dell'Istruzione sono sconfortanti. In Francia il ministero stanzia circa 77 euro per l'attività fisica di ogni studente, in Gran Bretagna questo valore cala drasticamente a 14 euro, in Italia, al momento, questa cifra non raggiunge neanche i 50 centesimi di euro. Questo dato, a fronte della statistica che riconosce i bambini italiani come i più obesi d'Europa, è sconfortante…” (www.iims.it/iims/Giovani/obesità_infantile.htm). E, in generale ….” In Italia, 4-5 abitanti su 10 soffrono di sovrappeso o sono obesi, con tassi più elevati nelle regioni meridionali e con una tendenza all’aumento negli ultimi anni. Il Ministero della Salute è attivamente impegnato nell’azione di contrasto a questa epidemia, sia attraverso l’opera del Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza Alimentare sia per mezzo delle attività progettuali previste per le Regioni dal Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007, coordinato dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM).” Fonte. Ministero della Salute .

I dati del rapporto tra popolazione e sport sono deludenti; ciò testimonia l’inadeguatezza di una classe dirigente che non ha saputo proporre e diffondere l’importanza dell’attività fisica, perché compito principale del CONI e quindi delle Federazioni nella loro autonomia è proprio quello di propagandare e promuovere l’attività sportiva non solo a livello agonistico ma per tutte le fasce della  popolazione.

Secondo l’indagine ISTAT del 2003:…“La pratica delle attività fisico- sportive oggi (dati Istat) Luci ed ombre in sintesi - L’area totale dei cittadini attivi - stimata nel 1999 a circa 36 milioni - si è ridotta nel 2003 a circa 32 milioni e mezzo, mentre l’area della sedentarietà  è salita da 19,5 a 23 milioni (sugli abitanti da 3 anni in su).

Pratica sportiva in Italia: l’evoluzione recente (1999-2003)

I dati più recenti sulla pratica dello sport e dell’attività fisica in Italia pubblicati dall’ISTAT (2003) indicano due fenomeni paralleli e contrastanti: la pratica sportiva continuativa, dopo il forte calo dei primi anni ’90, ha ripreso una tendenza di crescita; contemporaneamente aumenta la sedentarietà, a causa di un’allarmante riduzione dell’attività fisica diffusa.

Anche i dati dei praticanti tesserati delle Federazioni e delle Discipline Associate mostrano una progressiva ripresa, superando lo sbalzo negativo registrato nel 2001.

 

Secondo l’indagine condotta dalla UE: “…utilizzando un diverso criterio, l’indagine sulle attività fisiche condotta dalla UE nel 2002 stima addirittura che il 60% degli italiani esplica un’attività fisica insufficiente per la propria salute. Tale dato, insieme a quello che vede il 45% della popolazione in soprappeso di cui più del 10% classificato come obeso, giustifica ampiamente l’allarme ripetutamente lanciato dal Ministero della Salute. Inoltre la mancanza dell’esperienza sportiva incide sulle possibilità di sviluppo educativo e di integrazione sociale, come ha sottolineato l’Anno Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport appena concluso. (fonte: http://www.coni.it/ )

Le ultime indagini del ministero della salute avvalorano questi ultimi dati denunciando addirittura l’allarme obesità  e  minore attività fisica nell’intera popolazione soprattutto della fascia giovanile.

Per tutti questi motivi auspico un rinnovo totale della dirigenza sportiva che ha fin qui determinato l’andamento dello sport in Italia e ha creato un gap incolmabile di incomunicabilità tra esigenze degli atleti e sportivi in genere e le Federazioni incapaci di cogliere i bisogni e le urgenze dei loro stessi utenti.

 

Ho lasciato per ultima l’analisi sui tecnici perché penso che questa sia la figura più direttamente responsabile di quanto sta avvenendo oggi nello sport.

Il tecnico ha un ruolo complesso e difficile. Incarna, a livello federale un doppio ruolo perché rappresenta il punto d’incontro tra la classe dirigente (consiglio federale) e gli atleti. Necessita di una preparazione approfondita in molteplici campi; tecnico, psicologico, umano, dialettico, fisico. Rappresenta  il  “trait d'union” tra le esigenze e le aspettative (umane e tecniche) dell’atleta e le necessità della Federazione. Le sue valutazioni devono essere corrette, le sue analisi necessitano  di  precisione, i suoi giudizi esatti, le sue scelte opportune. Tutto queste attività hanno l’obbligo di  essere esenti da qualsiasi forma di distinzione, parzialità, abuso, ingiustizia ed arbitrarietà. L’allenatore deve essere “super partes”, al di sopra di ogni gioco politico e di potere operando per gli atleti e con gli atleti. Solo così avrà la stima di questi che impareranno a rispettarlo per la sua autorevolezza. Parlando con la Federazione deve far in modo di mettere gli atleti nelle condizioni  migliori per allenarsi e far valere le sue scelte a scapito di biechi giochi di potere. Solo in questo modo potrà avere la fiducia degli atleti. Stima, rispetto e fiducia sono le componenti per un lavoro proficuo e duraturo nel tempo. Ma se queste vengono a mancare lo stesso allenatore deve chiedersi “…dove ho sbagliato?”, analizzare i  propri errori, cercare di  correggerli dandosi un “tempo di transizione” per riparare agli errori ed instaurare un rapporto con i propri atleti che abbia i presupposti  sopraelencati; se non riesce deve avere il coraggio e l’intelligenza di dimettersi dall’incarico per non arrecare ulteriori danni all’ambiente e all’atleta, facendo tesoro dell’esperienza fatta per crescere,  migliorarsi  e riprovare in futuro…se ce ne  sarà l’occasione.

Deve essere una persona capace e virtuosa perché ha il compito di infondere ai propri atleti i  valori di lealtà e correttezza come valori non solo sportivi ma della vita. Ed è  per questo che la sua funzione di allenatore non può prescindere dall’attività di educatore in ogni fascia di età. Per i giovanissimi avrà una funzione altamente pedagogica, per i giovani una responsabilità più incentrata a far capire e condividere i valori etici e morali dello sport, per gli atleti evoluti un rapporto fondato  sulla stima e sulla  fiducia reciproca per raggiungere importanti obiettivi sportivi ed umani come ad esempio la lotta al  doping.

Se tutti gli allenatori fossero preparati adeguatamente, non solo sul piano tecnico, e avessero chiaro il proprio ruolo e la capacità di  attuare questo rapporto  di  feedback  con i propri atleti, oggi lo sport avrebbe una valenza più virtuosa di quella odierna perché ogni atleta prenderebbe autocoscienza dell’importanza di fare sport per la vita e non per vincere con ogni mezzo. Il problema del Doping sarebbe arginato in un istante perché un atleta consapevole disapproverebbe qualsiasi pratica illecita. Viene da sé che il problema primario è di tipo culturale; una cultura che deve essere diffusa dalla scuola, dal  CONI, dalle Federazioni, dall’allenatore per fornire all’atleta tutti gli elementi necessari per capire,  riflettere, ragionare.

 

Vorrei affrontare e sviluppare in maniera più specifica il problema del rapporto Allenatore-Atleta. L’atleta pretende giustamente rispetto e considerazione da parte della Federazione, della società di appartenenza e dell’allenatore e proprio per questo non desidera essere escluso dalla gestione dell’attività sportiva che lo riguarda. Questa necessità di dialogare e pianificare insieme pone spesso non pochi problemi di comunicazione fra l’atleta e l’allenatore non correttamente preparato. che tende spesso a non considerare le esigenze dettate dall’evoluzione emotiva e cognitiva del giovane agonista per focalizzare la sua attenzione solo sugli aspetti di sviluppo motorio e di rendimento agonistico finale. Sotto questa ottica si rivelano di grande utilità incontri di gruppo fra atleti e allenatore, allenatore e dirigenti, atleti con qualche problema di dialogo fra loro stessi.

Inoltre che per quanto riguarda gli allenatori di estrema attualità ed utilità risultano essere i Corsi di formazione sulla Psicologia dello Sport e sulla Psicologia dell'infortunio e della riabilitazione: questi corsi permettono agli addetti ai lavori di apprendere delle conoscenze sul modo di pensare e di sentire degli atleti, soprattutto per quanto riguarda gli atleti infortunati.

Dalle numerose letture e dalle continue riflessioni fatte ricercando sempre nuove tematiche da affrontare e sviluppare vorrei approfonditamente il tema sulla “figura dell’allenatore”.

E’ opinione diffusa che l’allenatore si debba occupare unicamente degli aspetti atletici, tecnici e strategici, dell’attività agonistica degli. Ma dovremmo comprendere, una volta per tutte, che il suo ruolo gli conferisce uno status di “leader” nei confronti del team affidatogli, così come  nei confronti di ogni componente che segue (o dovrebbe….sarebbe auspicabile) individualmente non nel solo aspetto tecnico, tattico e atletico. Egli si pone in relazione con ogni atleta del proprio team e, quindi, bisogna porre l’attenzione a come l’allenatore possa divenire per molti giovani allievi, un punto di riferimento, un modello e motivo di identificazione. Sempre più frequentemente sulle pagine della letteratura specializzata si legge che sul piano psicologico l'allenatore tende ad essere identificato a guisa di “sostituto edipico”. Conosciamo tutti, la difficile e complessa questione edipica e fin dall’adolescenza, quando i ragazzi iniziano una qualsiasi pratica sportiva, riportano nel rapporto con gli altri del gruppo e all’allenatore le proprie vicende, eventuali problemi e persino numerose dinamiche familiari ancora irrisolte. Sono molti gli psicologi sportivi che studiano l’argomento convinti che l’atleta riviva i propri conflitti personali specificatamente nell’ambiente agonistico (o sportivo) e nei suoi rapporti con gli altri componenti della propria squadra. In questa chiave di lettura, l’allenatore può essere vissuto interiormente dall’atleta persino come sostituto delle figure dei genitori. Se ci può risultare comprensibile e così accettare la ragione per cui a  volte l’allenatore sostituisca l’autorità  paterna nel momento agonistico/sportivo, dobbiamo riflettere sulla sua capacità di trasmettere in modo corretto e positivo quel senso di protezione che l’atleta desidera (analogia psicologica ed interiore, con la figura materna/paterna). Si  comprende perciò che l'attività sportiva unita alla figura dell' allenatore, può essere anche  un elemento “mediante” tra sistema familiare e gruppo; questa eventuale mediazione, può determinare difficoltà per l’allenatore che per assolvere il proprio compito diventa “punto d’incontro” tra le figure familiari (autorità e affettività) e l’intera sfera sociale in cui si relazione il ragazzo-atleta. Per cui spesso l'attività sportiva, con tutto ciò che ne consegue e gli obiettivi agonistici raggiunti o ricercati sotto le direttive dell'allenatore, possono diventare metodi di prevenzione nei contesti socialmente ed affettivamente svantaggiati (i due fattori spesso si sommano); se tale  fattore viene ignorato o trascurato può dar luogo a comportamenti di  “devianza” nel più ampio contesto sociale di appartenenza che si traducono in  difficoltà relazionali.  Premesso questo viene da chiedersi se l’attività sportiva può avere un  valore altamente formativo ed educativo, e se l’allenatore oltre a rivestire un ruolo educativo per l’atleta, può diventare anche il mediatore tra l’istinto ribelle e la ricerca di un modello. Possiamo sostenere che sicuramente la figura dell’allenatore rappresenta per il giovane che si fida di lui, la  figura  adulta che “sente” più vicino alle sue passioni e per il raggiungimento dei suoi obiettivi.         Quali sono le difficoltà che si prospettano per l'allenatore? Sarebbe utile da parte di un allenatore consapevole, porsi frequentemente questa domanda per cercare sempre delle soluzioni all’altezza di questo ruolo, conferitogli inconsciamente dai propri atleti. Ma troppo spesso viene riscontrata una spiccata incapacità da parte degli allenatori di comunicare con gli atleti, e l'atteggiamento che si adotta è purtroppo il più delle volte “autocratico” e fortemente autoritario, dove l'allenatore nella non consapevolezza del ruolo ricoperto, non é disposto a sprecare del tempo per chiedere pareri ai ragazzi, o considerare i loro eventuali consigli o intuizioni tecnico/tattiche. Inoltre sovente tendono a sopravvalutare il lato tecnico non preoccupandosi di adoperarsi per una “educazione sportiva” corretta mostrando poca sensibilità e  molta superficialità nei confronti delle complesse  e  numerose problematiche giovanili ma anche dell’atleta evoluto reputandole futili e non importanti. In questo modo, tralasciando  la componente umano/affettiva dimostra inadeguatezza per il suo  difficile ruolo professionale e, solitamente, il risultato è un rapporto di sfiducia con i propri atleti dove manca la comunicazione e quindi l’aspetto fondamentale del reciproco scambio. Così, l’allenatore viene considerato dai suoi stessi atleti come un elemento di notevole ed ulteriore stress, perché basa la loro attività esclusivamente sul rendimento fisico - atletico o ancor peggio, sul rendimento indotto e prodotto da un atteggiamento estremamente autoritario. In questi casi si legge nei questionari degli atleti che il comportamento dell’allenatore viene percepito come molto distaccato o superiore, incurante di quelle che sono le loro aspettative e i loro bisogni. L’eccessiva “distanza empatica” dai suoi atleti ostacola una serena comunicazione. Trovarsi a dover gestire una situazione così complessa, in questo modo strutturata e sensibile a moltissime variabili è quanto mai difficile consapevoli che tale condotta autoritaria può produrre atteggiamenti indesiderati ed ostili. Per questo bisognerebbe essere in grado di instaurare un “equilibrio dinamico” con tutti i soggetti della squadra e diventa necessario da parte dell' allenatore possedere adeguate qualità umane, capacità psicologiche, abilità metodologiche, tecniche e organizzative. L’insieme di queste virtù da determinano la nascita di nuovi confini d’azione rendendo possibile esplorare orizzonti nuovi e stimolanti, arrivando a poter aiutare e prevenire problematiche di relazione con la famiglia e con il gruppo. Compiti e mansioni dell’allenatore si svolgono in un ambiente difficile e molto stressante caratterizzato dalle frequenti interferenze e pressioni dei dirigenti, dai rapporti delle famiglie con i ragazzi/atleti, da eventuali problemi disciplinari e comportamentali che possono sorgere all' interno dell’associazione sportiva di appartenenza e del team. Si legge nei numerosi studi e ricerche con  questi temi, oltre alle indagini e osservazioni condotte al riguardo, che sono stati individuati alcuni comportamenti che possono contribuire all' insorgere della perdita motivazionale da ambo le parti. Ad esempio il voler essere troppo perfezionista e non tollerare eventuali errori dei ragazzi, o la totale mancanza di ottimismo, o mostrare loro di essere costantemente insoddisfatti. Ma anche farsi assorbire troppo dall'attività agonistica e giudicare il proprio e l’altrui lavoro solo dal risultato di gara, può portare al deterioramento del rapporto. E’ stato rilevato un più alto livello di perdita motivazionale negli atleti praticanti sport individuali che non in quelli di squadra e sembra che la causa più importante nel determinare ciò  sia proprio l'incapacità di instaurare e sviluppare un adeguato e sereno rapporto allenatore/atleti,  allenatore/dirigenti. La persona preposta a mediare per attuare un rapporto sinergico tra le diverse figure del mondo sportivo è quella dell’allenatore. Stando a queste indagini si evince facilmente che la mansione di allenatore deve essere intrapresa possibilmente (e sarebbe auspicabile) da soggetti positivi ed estroversi che, proprio per questa virtù  caratteriale, possono resistere meglio allo stress ed alle frustrazioni derivate dagli inevitabili e possibili insuccessi di percorso. Ma non dobbiamo dimenticare che l’allenatore ha anche il delicato ed importantissimo compito di sostenere l’atleta nei momenti di maggiore sconforto e difficoltà, fisica e psicologica. Deve essere in grado di prevenire con il suo importantissimo supporto soprattutto la possibile perdita motivazionale da parte degli atleti di ogni livello. E’ largamente stabilito dalla letteratura che gli atleti, durante la propria attività agonistica, sono continuamente sottoposti a molteplici fattori di stress, come l'incertezza del risultato, la paura del fallimento, il timore di non riuscire a sostenere le aspettative e quindi di non dare il meglio di sé nella gara. L'allenatore dovrebbe affrontare le inevitabili e ricorrenti richieste (molte volte implicite perché non espresse) degli atleti, sviluppando ed arricchendo soprattutto, la capacità di esprimersi e comunicare adeguatamente le proprie intenzioni e i propri convincimenti, proponendo agli atleti specifiche e periodiche riunioni per ascoltarli e prestare attenzione alle loro problematiche. Questo servirebbe molto per allentare e prevenire tensioni ed incomprensione che potrebbero insorgere fra gli atleti e l’allenatore o tra i componenti della stessa squadra. Una gestione non adeguatamente attenta e sensibile a queste problematiche, con scarsa ascolto o con atteggiamenti eccessivamente aggressivi ed invasivi da parte di chi è preposto alla guida, all’organizzazione dell’allenamento e di tutte le altre attività  connesse determina, senza ombra di dubbio, incomunicabilità, ansia, conflittualità. E’ ormai accertato che è dovere di qualsiasi allenatore essere tecnicamente preparato e aggiornato costantemente, ma è necessario ancora ricordare che deve anche acquisire piena consapevolezza  del suo ruolo per impostare con sicurezza e autorevolezza il suo programma di allenamento le cui basi si devono fondare, prima, sulle esigenze umane e poi sull' obiettivo finale della vittoria.

Il gruppo e l’allenatore. Un gruppo di atleti di qualsiasi livello è un insieme di individui all'interno del quale le abilità dei singoli vengono esaltate dall'interazione reciproca, con obiettivi comuni. La squadra crea relazioni interpersonali tra gli atleti che, spesso, risultano più valide, solide ed esclusive di quelle che esse mantengono con persone che frequentano fuori dai campi di allenamento. E’ questa la forza di coesione tra le persone del gruppo e tiene vive le motivazioni e le aspettative dei singoli nei confronti dell’intero gruppo. All'interno di tale realtà, in continua interazione, assume particolare importanza il leader ovvero colui che necessita di una personalità carismatica in grado di soddisfare le esigenze affettive e operative della maggioranza dei membri. E’ indiscusso che la leadership del gruppo appartenga all’ALLENATORE la cui figura non sempre positiva ed all’altezza, si può definire anche secondo i diversi comportamenti che utilizza:               
 Il leader carismatico, frequentemente assunto dagli allenatori è perennemente avvolto da un'aria di "mistero", che si dà per rimanere distaccato dagli altri, alle domande risponde in maniera elusiva, ha costantemente un atteggiamento intermedio tra quello del filosofo e del santone e l'aria mistica che egli vuole assumere potrebbe essere in realtà il risultato di una grande povertà di idee.
Il leader autoritario, che utilizza sanzioni e punizioni senza alcun rispetto della personalità degli altri.
Il leader paternalista che ha un rapporto di amore /odio verso gli atleti. Non ammette mai di aver sbagliato e non apprende mai qualcosa dai suoi atleti,l'apprendimento dipende esclusivamente da lui, aggiorna difficilmente i suoi concetti: tecnicamente sarà sempre  in ritardo con i tempi.
Il leader "lasciar fare" che non influenza ed ha poco ascendente sul gruppo, il quale, non avendo punti di riferimento, assume facilmente atteggiamenti di estrema libertà. È per questo motivo che spesso atleti “talentuosi” non si sono trasformati in atleti di vertice, anzi molto frequentemente cresciuti e diventati atleti   di alto livello allenandosi e crescendo in ambienti ritenuti non congeniali o adatti a tale scopo.

La comunicazione tra allenatore ed atleta . Da quanto esposto si evince che alla base di tutto c’e’ il tipo di comunicazione che si instaura fra i due, perché la comunicazione è alla base di qualsiasi rapporto, è impossibile non comunicare, anche il silenzio ci comunica qualcosa: il consenso, la volontà di non comunicare, etc.  Comunicare significa trasmettere delle informazioni e riceverle; far conoscere e conoscere; mettere in comune con gli altri ciò che è nostro; influenzare, agire sugli altri ed esserne influenzati. La comunicazione avviene attraverso i nostri comportamenti quando interagiamo con le altre persone, quindi qualsiasi comportamento è comunicazione. La  comunicazione può essere considerata da tre punti di vista: 1) Il contesto in cui avviene la (spazio e tempo in cui si verifica, sistema sociale di riferimento); 2) Il contenuto (argomento di discussione, ciò su cui verte la comunicazione); 3) La relazione (rapporto che si definisce tra interlocutori).
Il messaggio di relazione esiste in ogni comunicazione e incide sul contenuto, determinandone il modo di comprensione e il modo di ascolto dell'altro. Poiché è veicolato dalla comunicazione non verbale e paraverbale esso è più veloce del contenuto, arriva prima e influisce sulla interpretazione di quest’ultimo. Non sempre il messaggio di relazione è chiaro e pienamente consapevole proprio perché tocca nel profondo le relazioni interpersonali e quindi esprime ciò che una persona è, desidera o ha paura di essere per l'altra. Per interagire e quindi comunicare in modo efficace è necessario saper dare importanza ai bisogni delle persone che si hanno di fronte. Per fare ciò è necessario per prima cosa riconoscere il tipo di bisogno che in quel momento è più importante per l'interlocutore e in seguito andargli incontro, anche promuovendo una auto consapevolezza. La conferma è il messaggio di relazione che più garantisce una apertura all'ascolto, la disponibilità a confrontarsi, liberamente dai contenuti; permette uno sviluppo e una stabilità del sé e della propria identità personale e sportiva. Contrariamente messaggi di rifiuto, sebbene in modi diversi, determinano chiusura, aggressività, fuga, isolamento e tendono a determinare una perdita della propria identità sportiva.

Da numerosi studi fatti per indagare le qualità di un allenatore efficace emerge come l'essere autoritario comprometta la relazione con gli atleti. Abbiamo visto che la relazione comunicata può svincolarsi dal contenuto espresso, infatti un allenatore autorevole (diverso da autoritario) garantisce la chiarezza del contesto e della relazione attraverso regole precise ma lascia ampio spazio ai contenuti e quindi alla possibilità per l'atleta di esprimere la propria originalità, le proprie proposte e critiche aumentando, in questo modo, l'autostima dell'atleta e creando una condizione di lavoro, di collaborazione positiva (concetto di flessibilità nei contenuti e fermezza nella relazione). Oltre a ciò risulta importante il messaggio di relazione anche per comprendere meglio il contenuto.
L'allenatore dovrebbe richiedere all'atleta obiettivi intermedi avendo sempre chiaro l'obiettivo ultimo: risulta importante pedagogicamente chiedere delle prestazioni leggermente superiori alle abilità acquisite per stimolare l'atleta a migliorare e nello stesso tempo non farlo sentire inefficace attraverso richieste sproporzionate. E’ importante rafforzare attraverso le conferme il talento.
Alcuni concetti chiave che potrebbero facilitare la prestazione dovrebbero essere trasmessi all'atleta attraverso i diversi canali di comunicazione. Messaggio importante è che la riuscita di una gara non costituisce un fine ma entra in una circolarità che permette di migliorare la prestazione; non vincere significa avere la possibilità di riesaminare la propria prestazione e migliorarla quindi RISORSA e non SCONFITTA. (relativizzare gli insuccessi; al contesto). Vincere è importante se conseguente ad una buona prestazione altrimenti non è funzionale alla crescita professionale; obiettivo quindi dell'agonismo dovrebbe essere esprimere al meglio le proprie risorse, potenzialità e professionalità.
In conclusione è necessario rendere l'atleta attivo e protagonista attraverso la circolarità delle comunicazioni ai diversi livelli per un buon coinvolgimento.

 

IL CODICE D’ONORE  DEGLI  ALLENATORI  

Ho parlato fin qui del ruolo dell’allenatore e di alcune importanti tematiche ad esso connesse. Ma quanto detto trova le fondamenta nel codice etico a cui l’allenatore deve attenersi fedelmente come piattaforma di ogni suo pensiero e decisione. Se viene a mancare il cardine su cui origina la scintilla che determina comportamenti etici e virtuosi, nulla di quanto accade potrà avere “valore sportivo”. Riporto di seguito alcuni dei CODICI ETICI e delle regole morali espresse nelle “buone  intenzioni” di qualsiasi sport a cui tutti gli allenatori dovrebbero attenersi, a prescindere dal ruolo federale che si ricopre, della  Federazione alla quale si appartiene e dal livello degli atleti che si allena. Sono del parere che tutti gli allenatori (o se preferite…”tecnici”) hanno l’obbligo di attenersi ad un codice morale corretto e  trasparente che rifletta fedelmente i valori su cui si fonda lo sport; solo seguendo questi principi responsabili si può operare per il bene degli atleti. Si tratta di un canone di doveri che gli allenatori si impongono e costituisce un’etica professionale espressa con parole, sviluppatasi sulla scorta di tradizioni, perseguita con onestà e determinata secondo coscienza. Il codice d’onore è la base morale, continuamente da verificare in stretta considerazione della dignità dell’uomo, su cui poggia la deontologia professionale autodeterminata della nostra  comunità liberale -democratica. Esso è un elemento essenziale dello sviluppo di una cultura professionale che si  sente  in obbligo verso la prestazione umana e verso quello che è la premessa umana.

Il codice d’onore contiene orientamenti, fondati su norme e valori, per ciò che concerne il modo di pensare e di agire nell’ambito dell’allenamento e della competizione. Si tratta di orientamenti sostanzialmente in linea con uno sport di alto livello che sia “umano”, con il bene di bambini ed adolescenti, con l’atleta emancipato. I doveri  che ne conseguono poggiano sulla convinzione che prestazione ed umanità, vittoria e morale, successo e felicità personale non solo devono essere compatibili, ma si condizionano reciprocamente. Ciò significa che gli incrementi di prestazione da raggiungere con l’allenamento devono essere perseguiti alle regole vigenti e rispettando il precetto della realtà. Vale infatti il principio: IN ALLENAMENTO ED IN GARA HA SEMPRE PRIORITA’ LA DIGNITA’ DELL’UOMO. Sulla base di questo dettato assume una particolare importanza la responsabilità pedagogica, intesa nel senso di un’educazione alla prestazione, che allenatori ed allenatrici hanno nei confronti degli atleti loro affidati  e specialmente nei confronti dei bambini e degli adolescenti. Il codice d’onore con i suoi doveri e le sue responsabilità non riguarda solo il rapporto degli allenatori con i loro atleti, bensì anche il loro rapporto di reciprocità con i genitori, responsabili dei propri figli, e con le altre persone coinvolte nell’attività sportiva, come medici, dirigenti, spettatori e rappresentanti del settore dell’informazione dell’economia e  della politica. Il Codice d’onore parte dal presupposto dell’autodeterminazione della categoria professionale degli allenatori, perciò offre anche un importante contributo affinché gli allenatori sviluppino un’immagine di sé positiva.

 

CODICE D’ONORE TEDESCO. Dopo gli anni che videro gli scandali sportivi della Germania dell’Est e dopo la caduta del muro di Berlino, la Germania volle ripartire da zero per avviare un “rinascimento” del mondo sportivo, partendo dalla regolamentazione etica dell’allenatore che negli anni passati aveva, con metodiche antisportive e pratiche illecite , annichilito e abusato della figura dell’atleta.

1. Allenatori ed allenatrici rispettano la dignità degli atleti e delle atlete, i quali vengono trattati con equità e lealtà indipendentemente da età, sesso, provenienza  sociale,  ed etnica, ideologia, religione, opinione politica o condizione economica.

2. Allenatori ed allenatrici s’impegnano ad armonizzare  le esigenze sportive in allenamento ed in gara con carichi proveniente dall’ambiente sociale, ed in particolare da quello familiare, scolastico,di studio e lavorativo

3. Allenatori ed allenatrici s’impegnano a agire in modo responsabile sotto il profilo pedagogico: a) trasmettono ai loro atleti tutte le informazioni rilevanti per consentir loro di sviluppare ed ottimizzare la  propria prestazione – b) coinvolgono gli atleti nelle decisioni che li riguardano personalmente – c) nell’allenamento dei minorenni  prendono in considerazione gli interessi dei genitori – d) promuovono l’autodeterminazione dei loro atleti – e) in caso di conflitti s’impegnano a trovare soluzioni aperte, giuste ed umane – f) non usano violenza di nessun genere contro i loro atleti – g) educano gli atleti all’autoresponsabilità e  all’autonomia, anche in vista del loro avvenire

4. Allenatori ed allenatrici educano i loro atleti  ad avere: a) un comportamento socialmente  positivo  all’interno della comunità di allenamento – b) un comportamento leale in  competizione ed al di fuori di essa ed il necessario rispetto nei confronti di tutte le altre persone e gli animali coinvolti nell’attività sportiva – c) un rapporto responsabile con la natura e con l’ambiente in cui vivono

5. L’interesse degli atleti, la loro salute, il loro benessere  e la loro  felicità stanno al di  sopra degli interessi e degli obbiettivi di riuscita degli allenatori o delle organizzazioni sportive. Tutti gli  interventi che vengono attuati in allenamento devono essere consoni all’età, all’esperienza ed attuale stato psico-fisico degli atleti

6. Allenatori ed allenatrici s’impegnano ad impedire l’uso di mezzi vietati (doping) ed a prevenire il pericolo di assuefazione a stupefacenti.

 

CODICE D’ONORE DEGLI ALLENATORI DELLA  SWISS FOOTBALL  LEAGUE

1.Io rispetto la dignità degli sportivi e tratto tutti in modo uguale e leale indipendentemente dall'età, dal sesso, dalla provenienza sociale ed etnica, dalla visione del mondo, dalla religione, dalla convinzione politica e dalla situazione economica.

2. Io m'impegno a creare un'atmosfera e un ambiente piacevoli dove il giovane sportivo si sente a suo agio e dove può muoversi liberamente.

3. Io mi distanzio da tutte le forme di azione e trattamento che potrebbero ferire e umiliare lo sportivo nella sua dignità. Io rispetto la sfera privata dello sportivo, in modo particolare basandomi sugli obiettivi fissati assieme allo sportivo favorendo quindi la sua autodeterminazione e autoresponsabilità.

4. Io rispetto i limiti fisici ed emozionali dello sportivo e mi distanzio da qualsiasi forma di abuso fisico ed emozionale.

 

Mi sembra opportuno riportare il "codice d'onore" degli allenatori, che operano in  una società di  pallacanestro italiana: espressione di un'etica professionale che si fonda sul principio della responsabilità che ha l'allenatore verso il benessere degli atleti. E’ importante notare il ruolo dell’allenatore :“trade union” non solo per l’atleta, ma anche per il rapporto allenatore - genitore e  allenatore – dirigente

 

NOI  ALLENATORI, consapevoli che il nostro comportamento contribuisce a mantenere alto il valore dello sport attraverso il team che alleniamo, riconosciamo nostra personale responsabilità impegnarci a:

  Promuovere lo sport attraverso il nostro comportamento etico, rispettoso delle leggi e delle regole, proteggendo l’immagine dello sport e contribuendo a diffonderne i valori e l’integrità tra i giovani e, tra loro, ai più svantaggiati.

  Evitare atteggiamenti vessatori o esasperatamente punitivi nei confronti degli atleti, degli allenatori e dei collaboratori

  Evitare comportamenti tendenti all’esclusione sistematica, all’offesa fisica o mentale di atleti che vengono sotto utilizzati e danneggiati creando frustrazioni e tensioni scaricabili in maniera negativa verso compagni, dirigenti, avversari e direttori di gara.

  Evitare ogni forma di discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, stati civili ed orientamenti sessuali.

 

CONCLUSIONI E RIFLESSIONI

Lo sport, dunque, può essere una splendida occasione che gli uomini hanno per avvicinarsi, comunicare fra loro al di là di ogni differenza individuale e di razza.

La speranza è che l’educazione sportiva si apra al maggior numero di culture, affinché, tutte le gioventù possano vincere campanilismi, nazionalismi e razzismi.

Ma quando lo sport professionistico si lascia vincolare dai criteri di produttività e di interesse economico, non  rispettando etica e moralità si svuota di ogni valore culturale.

CONFERENZA NAZIONALE SULLO SPORT - relazione introduttiva dell’on. Giovanna Melandri, Ministro per i Beni e le Attività Culturali - Roma, 19 Dicembre 2000: “Il barone de Coubertin, a proposito di etica dello sport, sosteneva che i principi, costituiscono in germe la base e il punto di partenza di ogni ordinamento democratico nazionale. Proprio per questo alcuni limiti non devono mai essere superati.

 

Gianni Caldarone