Mauro Tirinnanzi: Il mio lavoro per hobby

La sua professione è quella che ha sempre desiderato. Questa è una delle chiavi del successo di Mauro Tirinnanzi, l'uomo che da anni è alla guida della nostra Nazionale e che, insieme agli atleti, ha "creato" la magia dei trionfi di Los Angeles.

Los Angeles, Olimpiadi 1984. Lacrime di gioia: Daniele Masala, Mauro Tirinnanzi, Bruna Rossi e il generale
Colombo Vari non sanno frenare l'emozione per la più bella vittoria della storia del pentathlon italiano.

La prima medaglia olimpica del pentathlon italiano arrivò nel 1936 ai Giochi di Berlino con il terzo posto individuale di Silvano Abba. Poi, per anni, ci fu un lungo periodo di buio, rotto dall'exploit di Masala, Massullo e Cristofori alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, che vinsero due medaglie d'oro ed una di bronzo.

AI loro fianco c'era Mauro Tirinnanzi, maestro dello sport, ex pallanotista, mezzofondista e pentatleta, divenuto coordinatore della squadra nazionale senior. Tirinnanzi - dopo quella vittoria - piangeva di gioia, di soddisfazione, non riusciva a stare fermo, a contenere un'emozione così grande, lui che è sempre abituato ad assorbire e smorzare tensioni e fatica con una semplice frase o battuta. Se per gli atleti quell'Olimpiade era un trionfo, per Tirinnanzi era un trionfo doppio: la sua interpretazione del pentathlon moderno, che aveva impostato fin dal 1971-72, finalmente gli dava ra­gione.
«Quando decisi di fare il tecnico - appena terminato il corso triennale di formazione alla scuola dello Sport - avevo le idee abbastanza precise su cosa non andasse nel pentathlon in Italia e su quali fossero le modifiche da apportare, per far sì che questa disciplina conseguisse maggiori risultati ed avesse un maggior numero di praticanti. Così come era impostato allora il pentathlon - spiega Tirinnanzi - avrebbe sicuramente avuto una storia marginale, uno sport quasi esclusivamente militare... Decisi allora che il mio primo grosso lavoro doveva essere quello di avvicinare il maggior numero possibile di atleti, tecnici e dirigenti al pentathlon».
                                     Una foto di repertorio, che ritrae Mauro Tirinnanzi, allora giovane pentatleta, durante una prova di tiro.
Tanto per fare qualche nome, Tirinnanzi "reclutò" in quegli anni Daniele Masala e Pierapaolo Cristofori, e subito dopo - divenuto direttore del centro dell'Acquacetosa - stabilì veri e propri programmi di organizzazione e di allenamento con nuovi tecnici, tra cui Tito Tomassini, Ugo Amicosante ed il suo amico e collega Piero Giunta. Questo nuovo tipo di impostazione tecnica ed organizzativa ebbe qualche difficoltà prima di essere completamente "assorbita", ma appena cambiarono i vertici dirigenziali della FIPM con il nuovo presidente Alberto de Felice,

Tirinnanzi ebbe la piena respon­sabilità della squadra olimpica che doveva lavorare in vista dei Giochi di Los Angeles.

Tanti momenti trascorsi con gli atleti, con i "suoi" ragazzi, e anche qualche simpatica giornata di relax.

Era il 1982: «Pensai: questa è l'occasione della mia vita! Iniziammo a lavorare sodo, a stare in collegiale 11 mesi su 12, ma con entusiasmo e motivazione. Il mio metodo era ed è quello di non far subìre l'allenamento, bensì di farlo vivere; il nostro è un continuo scambio di idee, consigli ecc. Oltre ad un rapporto di lavoro con queste persone c'è un vero rapporto di amicizia».
                                                                                                                                                                                                                La prima squadra junior costituita da Mauro Tirinnanzi

- Quando è costretto ad escludere qualcuno dalla squadra rischia di veder rovinati questi rapporti?

«Purtroppo ad ogni scadenza agonistica importante (Olimpiadi o Mondiali) mi ritrovo con questo problema; quest'anno è successo con Cesare Toraldo, un ottimo elemento che è rimasto fuori dalla squadra olimpica per Seul. Ogni volta mi sento sicuramente peggio io, dell'atleta che sta ricevendo la notizia, sento che anche questi ragazzi sono parte del mio lavoro. Ma non si è mai verificato che la nostra amicizia si rovinasse, e questo dimostra con quanta obiettività e chiarezza lavoriamo. Nel caso di Toraldo, poi, non è stato lui ad essere "bocciato" ma sono gli altri ad essere andati meglio» conclude Tirinnanzi.
Una foto di qualche anno fa: ritrae Tirinnanzi tra Masala (a sinistra) e Medda.

Quali sono i momenti più belli di questo lavoro?

«Oltre alle vittorie, naturalmente, le soddisfazioni sono quelle che arrivano quando il programma viene portato avanti da persone attente e coinvolte quanto te; che fanno piccoli passi ogni giorno, realizzando anche pochi punti in più nell'allenamento, perché significa che stai facendo le cose fatte bene». - Poi riflettendo aggiunge - «In realtà ogni istante di questo lavoro rappresenta qualcosa di particolare, un traguardo, una soddisfazione. Oltre alla gratificazione, c'è la possibilità di esprimerti al meglio nel campo che hai scelto, perché è quello che più ti piace.

Fin dall'inizio quando studiavo ancora alla Scuola dello Sport, sentivo di aver trovato la mia strada. Per la prima volta, nonostante non fossi mai stato uno studente eccellente alle scuole superiori, all'Acquacetosa ero il migliore del corso.

Oggi l'unico sacrificio è costituito dalla lontananza dalla mia famiglia che vive a Genova. Per il resto sono più che soddisfatto. Spesso mi scopro a pensare che se fossi ricco e non avessi bisogno di lavorare, mi dedicherei ugualmente al pentathlon ed allo sport con lo stesso impegno, solo per hobby».    
 

La Nazionale italiano di Pentathlon Moderno alla vigilia della partenza da Roma per Los Angeles nel 1984. Secondo da sinistra è riconoscibile Mauro Tirinnanzi.

BARBARA CARDINALI                                                                                                                                                                 MULTISPORT/57

Nota della Redazione:

Tirinnanzi terminerà la sua carriera da ct del pentathlon italiano con l'ennesimo trionfo, Seoul 1988. Intraprenderà poi la carriera di delegato tecnico nell'ambito della UIPM, fino a diventare dal 2006 il responsabile delle "giacchette rosse".

Per molti anni è anche stato segretario della federazione vela.